Non sorprende che solo l’1 per cento degli italiani, secondo i dati diffusi stamattina (26 settembre) dalla Tavola della Pace in una conferenza stampa, sappia che il nostro paese è impegnato in una guerra nel Congo. Più sorprendente è che il 51 per cento non sappia che l’Italia è impegnata nella guerra in Afghanistan. Questa ignoranza è il segno più tangibile della trascuratezza con cui il mondo dell’informazione tratta i temi della pace e dei diritti umani.

Ne sono conferma indiretta la cancellazione o la minaccia di chiusura di molte sedi Rai nel mondo. Non parliamo naturalmente di quella di New York e di Bruxelles, ma di quelle di Nuova Delhi, Rio de Janeiro, Il Cairo (!) in piena rivoluzione araba. Tutti luoghi che, guarda caso, appartengono al sud del mondo.

Oltre a rilanciare denunce di questo tipo la conferenza stampa della Tavola della Pace è servita ad avanzare una serie di proposte: modifica della legge delega di riforma dello strumento militare, taglio delle spese militari, investimento nella cooperazione internazionale (una delle voci di bilancio più pesantemente colpite dalla scure dei tagli) e nell’integrazione, ritiro immediato dei nostri soldati dall’Afghanistan, che farebbe risparmiare al governo la bellezza di 1.500 milioni di euro, una parte dei quali da destinare al sostegno della società civile in Afghanistan. Infine è stata ribadita la necessità di impedire in qualsiasi modo la guerra preventiva contro l’Iran.

Inutile dire che queste proposte rischiano di restare una dichiarazione di intenti e di incidere poco sulla realtà, anche se le si considera dal versante assai delicato e contraddittorio del lavoro impegnato nell’industria degli armamenti. Nessuno deve nascondersi dietro l’alibi dell’occupazione per giustificare la produzione di armi, che in questo caso è giusto definire di distruzione di massa. Difficile, anche se auspicabile, la riconversione dell’industria da guerra.

Intanto però è bene chiedersi – lo ha fatto Leopoldo Tartaglia del Dipartimento Politiche Gglobali della Cgil (impegnata spesso sullo stesso terreno d’azione della Tavola della Pace) – se non sia possibile, oltre che necessario, utilizzare i fondi per l’acquisto dei famigerati F35 a scopi molto più nobili: dalla difesa del territorio alla ricostruzione del dopo terremoto.