Fiorello, l’uomo della provvidenza per la crisi di ascolti della Rai. Lo speriamo, visto che nonostante tutto vogliamo bene alla Rai e alla sua tradizione (crediamo meno al suo futuro, purtroppo). Ma la Rai deve cambiare, riconquistare un domani. La nostra società vive di educazione più che mai. In direzioni e declinazioni diverse, però, rispetto al passato. La scuola non basta. Le televisioni assumono, pur nella moltiplicazione dei canali e nella frammentazione dei programmi (tutti i programmi), un ruolo importante nella missione educativa (formativa) che già hanno e di cui spesso non sono consapevoli fino in fondo; un ruolo che però va di continuo aggiornato, portato all’altezza dei tempi.

Quello che valeva ieri non vale più oggi. Sia nella scelta dei contenuti che nelle forme. Le televisioni devono poter fare quello che la scuola e le università non sono in grado di fare. Tutti hanno imparato a scrivere secondo modelli che nel secolo scorso sono cambiati rispetto all’epoca delle aste sui quaderni di scuola. Però nessuno o pochi hanno pensato seriamente a insegnare com’è costruita un'immagine (un quadro, una sequenza di un film o un video) o addirittura come la si realizza.

Serve a poco avvicinare ai linguaggi i ragazzi e gli adulti senza metodi precisi: la scuole di cinema o comunque le scuole su tv e comunicazione arrivano tardi. Le facoltà universitarie sono indietro di anni, pensano che la critica, la semiologia, la storia del cinema e tv, qualche piccolo video realizzato sul computer siano sufficienti. Non è così. I “maestri” che contano non sono maestri, lo diventano comunque perché parlano dalle tv; non sanno chi li ascolta e come li si ascolta. Su un punto tutti dovrebbero essere d’accordo: le televisioni devono e possono mettere al centro la missione educativa su basi nuove, con persone competenti, interessate a far capire e mostrare i processi visibili e soprattutto invisibili dei linguaggi delle immagini. RaiStoria è un canale molto seguito e ha saputo imporsi nonostante una concorrenza che era temibile e si è ormai molto ridimensionata (History Channel).

Le Teche Rai sono una miniera che non finisce di stupire. Sono decisamente migliorate per la ricerca, l’uso e le possibilità offerte. E tuttavia il modo con cui i documenti delle Teche vengono usati non corrisponde sempre a queste possibilità. Lo schema tipo presentazione-immagini-commento-immagini-commento fino alla conclusione è da tempo ripetitivo e al di sotto delle aspettative degli spettatori, nonché della quantità di forme e formati che si possono ricavare dai documenti stessi. C’è una arretratezza forte nella costruzione drammaturgica, narrativa. Pochi sono in grado di organizzare un racconto rispettoso dei documenti e arricchito dalla fantasia di chi conosce le forme del teatro e del cinema, e le sa poi rinnovare e trasferire in un’opera per il video. Serve un recupero “artistico” delle storie e però i tentativi sono timidi, a volte scoraggianti.

Per i 150 anni dell’Unità d’Italia, per esempio, si potevano evitare errori (la serie interrotta su Rai1 con Bruno Vespa e Pippo Baudo), si potevano discutere i criteri generali di intervento sul grande tema, invece di abbandonarlo a iniziative slegate fra loro; e si potevano organizzare meglio le iniziative tra reti generaliste e canali digitali o satellitari, spesso confuse, sbilenche nel creare percorsi storici e mescolare storia e cronaca.
Faccio, per esemplificare e me ne scuso, il caso del mio film Concerto Italiano presentato due volte su Rai3 in orari massacranti e ignorato dal resto delle reti e dai canali. Nel frattempo, questo film ha girato e gira in tutta Italia e all’estero, nelle università, in licei, teatri, cineteche, eccetera. Situazioni simili discendono da disattenzioni volute o persino non percepite: vuoti non soltanto di memoria.