Cosa s’intende per giornalismo partecipativo? Come cambia il ruolo dei giornalisti e come si ridefinisce il concetto di cittadinanza in un contesto in cui la diffusione capillare delle Rete, dei social network e delle diverse “piattaforme partecipative” rende sempre più evidente che mai come nel presente contesto storico l’informazione è diventata un vero e proprio bene comune? Per tentare di dare una prima risposta a queste domande ci siamo rivolti a Sergio Maistrello, giornalista, blogger, esperto di informazione digitale (Giornalismo e nuovi media, uscito nel 2010 per Apogeo, è il suo ultimo volume). Maistrello ha un approccio al tema che potrebbe sembrare paradossale. “Non vedo una cesura netta rispetto al passato – dice al Mese –, al contrario. Il giornale mica se lo inventava da solo il giornalista, finora: parlava con le persone, si confrontava, raccoglieva testimonianze, accoglieva contributi. Se vogliamo forzare un po’ l’interpretazione, oggi un giornale locale medio è già parecchio partecipato: tra lettere alla redazione, interventi, comunicati stampa e veline pubblicate praticamente senza l’intervento del redattore è già sostanzialmente un’opera collettiva e aperta.

Il Mese Dunque non cambia nulla?

Maistrello Internet sposta il confine di ciò che le persone possono fare e di ciò che è visibile e praticabile in forma pubblica. Personalmente non riesco ad appassionarmi troppo alle definizioni di giornalismo partecipativo, citizen journalism eccetera. Mi sembra guardino alla novità con occhiali rassicuranti e da un punto di vista molto tradizionale. Le persone oggi possono creare contenuto, collaborare (tra loro e con i professionisti dell’informazione), superare a prescindere i filtri di presunta qualità delle redazioni e dei centri editoriali, interagire con gli articoli, criticarli, migliorarli, riscriverli meglio. Questo è semplicemente un dato di fatto, sta cambiando il modo in cui la società si racconta. Il giornalismo non si scinde in due entità distinte, una tradizionale e una che si dedica a interagire con i cittadini o a filtrare il prodotto editoriale amatoriale da loro lanciato in Rete. È l’intero racconto della realtà che cambia e il giornalismo cambia di conseguenza. Partecipato, collaborativo, interattivo sono e saranno sempre più caratteristiche acquisite e non negoziabili. A volte il contributo del cittadino sarà fondamentale, altre volte soltanto di contorno. Ma non è questo il punto. In fondo il giornalismo finora è stato quello che è stato più che altro perché si è adeguato ai precedenti vincoli tecnologici. Cambiano i vincoli tecnologici, cambia la forma che assume il giornalismo. Il vero problema è che il nuovo punto di equilibro frammenta i poteri consolidati in precedenza e apre inusitate linee di credito alle persone. La grande sfida, ma anche la vera opportunità, è fare in modo che i cittadini ne siano all’altezza.

Il Mese Come cambia allora il ruolo del giornalista?

Maistrello Il giornalista sarà sempre più utile e necessario, ma solo se saprà mettere a sistema il suo valore aggiunto. In un mondo nel quale l’informazione trabocca da ogni canale, c’è più che mai bisogno di qualcuno che sappia trattare in modo professionale quest’abbondanza. Diciamo che cambiano le priorità: se prima era fondamentale saper scrivere bene e andare in giro a trovare notizie, oggi si tratta soprattutto di saper costruire contesti, tracciare percorsi di senso nel magma informativo, avere una visione d’insieme più ampia, più solida, più intellettualmente onesta e inattaccabile. Ci sarà sempre qualcuno che arriva prima alla notizia; testimoni e vittime di fatti di cronaca oggi sono già i primi a lanciarli nel circuito della consapevolezza pubblica: la corsa a chi arriva prima è persa in partenza. Così come ci sarà sempre qualche appassionato che ne saprà di più e saprà spiegare meglio una certa questione. Il giornalista ora ha il compito di fare ordine, di costruire reti virtuose di fatti e di persone al servizio della conoscenza, disegnare scenari, semplificare e desemplificare nello stesso tempo la complessità, unire le tessere del mosaico, andare a fondo e cercare conferme non superficiali. La sua forza non sarà più data dal fatto di essere l’unico ad avere i mezzi per farlo, ma dalla possibilità di farlo in modo approfondito e continuativo. Chiaro che sopravviverà soltanto chi saprà fornire un reale valore aggiunto.

Il Mese Venuti meno i filtri tradizionali spesso basati sull’autorità editoriale, come si garantisce la qualità dell’informazione quando una mole così numerosa di notizie viene con grande felicità immessa in Rete? Non è difficile per il lettore distinguere tra l’informazione correttamente e professionalmente “intermediata” da tutto il resto?

Maistrello Certo che è difficile, ma deve imparare a farlo perché dipenderà sempre più da lui. Più che un problema di qualità è un problema di pertinenza, perché ciascuno deve trovare le informazioni adeguate alle proprie necessità. Il professionista può assistere, sostenere, incentivare, agevolare questo processo, ma il filtro non è più nelle mani del giornalista. Il filtro è ciascuno di noi quando sceglie che cosa leggere e che cosa no, che cosa segnalare e che cosa no, che cosa migliorare con le proprie conoscenze e che cosa ignorare. L’aggregazione di tutte queste scelte, grazie alle tracce lasciate in continuazione all’interno nelle nostre reti sociali, prende la forma di un grande filtro collettivo e collaborativo, che aiuta a far emergere le informazioni, gli articoli, le idee degne di attenzione. Ogni filtro sarà comunque a posteriori, perché tentare di arginare o controllare tutta l’informazione in entrata è e sarà sempre più difficile, praticamente impossibile, oltre che un’enorme perdita di tempo da un punto di vista amministrativo e politico.

Il Mese Il “nuovo” giornalista deve saper interagire con la rete, saper dominare vari codici, fare foto, caricare video, “scollare” e “incollare”: non ti sembra che nonostante le tecnologie sempre più sofisticate per lui si tratti di acquisire una maggiore modalità “artigiana” nel proprio lavoro?

Maistrello Sì, ne sono convinto. Il giornalismo resiste se torna a essere, com’è sempre stato tranne nelle degenerazioni industriali degli ultimi decenni, artigianato. Ma non tanto per la capacità di dominare i nuovi linguaggi tecnologici e le grammatiche dell’informazione in Rete, ma proprio per le modalità di lavoro. Si torna a fare pezzi unici, ad adeguare il prodotto finito alle necessità e alle circostanze, si rinuncia agli stampi industriali. Del resto il giornalista venderà sempre meno il prodotto, il contenuto e sempre più il metodo di lavoro, la capacità di unire i punti, il servizio che si adatta alla forma della realtà, laddove negli ultimi anni abbiamo provato ad adeguare a forza la realtà dentro format economici e precompilati.

Il Mese Si può dire che il giornalismo partecipativo può aiutare a definire una nuova idea di cittadinanza e di partecipazione?

Maistrello Credo che il rapporto di causa ed effetto sia inverso: è la cittadinanza digitale a ridefinire il giornalismo. Essere cittadino digitale, dunque pienamente consapevole delle opportunità di espressione, condivisione, collaborazione e interazione che la Rete permette oggi a ciascuno di noi, incide sul modo in cui il cittadino si informa e sulla sua relazione – attiva – con la conoscenza. Il giornalismo cambia di conseguenza. Più il cittadino ne è consapevole e coinvolto, più cambierà la società.

Il Mese Qual è la situazione del giornalismo partecipativo in Italia e quali credi siano le esperienze più avanzate nel mondo?

Maistrello Ti rispondo partendo dalla fine: l’esperienza più avanzata nel mondo è la Rete stessa. Poco importa quale testata o blog o progetto, perché ogni sito serve un disegno della conoscenza molto più ampio, all’interno del quale i confini si confondono. Posso dirti che seguo con attenzione alcuni progetti di aggregazione e valorizzazione del cosiddetto citizen journalism, Global Voices su tutti, ma poi l’informazione di qualità, il passaggio che mi aiuta a capire, il dettaglio determinante lo trovo di volta in volta in un articolo di giornale come nei commenti che ne discutono su Facebook, su un blog personale così come nei documenti di un centro specialistico linkato in un testo. Raramente un recinto fatto apposta per giocare alla collaborazione tra giornalisti e lettori serve allo scopo, un po’ perché l’idea stessa di recinto è contraria ai processi di rete, un po’ perché queste scintille scoccano quando meno te le aspetti e lontano da dove le aspetti. Tocca allargare lo sguardo per capire. In Italia la situazione è embrionale, un po’ per spirito di conservazione dei giornalisti, che pensano sia sufficiente aprire i commenti per sopravvivere all’ondata digitale, ma soprattutto per l’immaturità dei cittadini, che scontano processi di massificazione particolarmente potenti in questo paese, soprattutto nel campo della comunicazione.

Il Mese Però nei social media più che l’urgenza di dare notizie e dati prevale spesso quella di offrire opinioni e commenti su tutto, in un contesto in cui il rumore di fondo diviene talvolta molto fastidioso e in cui spesso le persone sembrano mosse più dall’idea di “esprimersi” che non da quella di “comunicare”…

Maistrello In questa fase quello che dici è vero, ma credo sia una sorta di riflesso condizionato di una nazione abituata a fare ciao ciao con la mano ogni volta che viene inquadrata da una telecamera. Che cosa fanno gli opinionisti in tv? Sputano sentenze su qualunque argomento venga loro sottoposto. Le persone imitano chi hanno visto finora dominare i canali di comunicazione; si possono riconoscere i tic dei personaggi dalle idee più provocatorie o le furbizie degli accentratori di attenzione a tutti i costi. Di fronte a uno spazio personale di pubblicazione riproducono il formato onnisciente del telegiornale generalista, piuttosto che contribuire d’istinto con idee originali e spunti basati sulla propria esperienza. Scontiamo e sconteremo a lungo la scelta dell’informazione mainstream italiana di abdicare alla qualità, al rigore, alla freddezza, magari per servire interessi e ansie di parte. Ma credo, appunto, sia una fase, a cui subentrerà una presa di misura più raffinata rispetto alle potenzialità dello strumento. La Rete è una formidabile scommessa sull’intelligenza delle persone, una delle poche vie d’uscita che ci restano per scampare al crollo di un capitalismo ormai involuto e degenerato.