da Rassegna sindacale Abbiamo fatto uno studio, con stime e proiezioni sul flusso della platea potenziale di quota 100, sulla base delle risorse stanziate dal governo. Il risultato è che i conti sono sbagliati: per noi, le persone che usufruiranno del provvedimento saranno al massimo 325.000 a fine anno, contro le 973.000 ipotizzate dallesecutivo. Così Ezio Cigna, dellufficio previdenza Cgil, oggi ai microfoni di Italia parla, la rubrica di RadioArticolo1. Aver scelto una quota 100 così rigida, con i paletti dei 62 anni di età e dei 38 di contributi, non risponde a fette importanti del mondo del lavoro, perché restringe a priori la platea degli aventi diritto. Ad esempio, le donne - già fortemente penalizzate dalla legge Fornero, che ha spostato la pensione di vecchiaia da 60 a 67 anni - difficilmente riescono a raggiungere i 38 anni di contributi, svolgendo spesso due lavori, quello in produzione e quello di cure, tanto è vero che solo poche migliaia (una domanda su quattro è stata presentata da una donna), hanno utilizzato quota 100. E la stessa opzione donna è penalizzante, in quanto è una misura che prevede un calcolo interamente contributivo, 35 anni di contributi e 58 detà se dipendenti, o 59 se autonome. Per non parlare dei precari, dagli edili agli agricoli, del tutto fuori dai giochi, malgrado tantissimi di loro desiderino andare in pensione al più presto, facendo lavori faticosi e poco sopportabili, superata una certa età. Oltretutto, il 25% delle domande pervenute allInps (oltre 10.000) sono state respinte per gli errori commessi dagli aspiranti pensionati e pensionate. Dunque, se si pensava a una misura del genere per superare la Fornero, si è davvero fuori strada. Senza considerare poi che quota 100 è gravosa sotto il profilo economico, perché ogni anno danticipo costa il 5% sulla pensione lorda del lavoratore, impedendogli di raggiungere un assegno dignitoso, ha proseguito il dirigente sindacale. Noi abbiamo presentato degli emendamenti al decreto del governo, prima anche con la legge di bilancio, immaginando un adeguamento del requisito pensionistico per le donne che svolgono un lavoro di cura, per la famiglia, per i figli e per gli anziani, confortati da quello che dice lIstat. In sostanza, noi chiedevamo per ogni figlio uno sconto di un anno di contributi. Questo avrebbe permesso a una donna con due figli di andare in pensione con 36 anni di contributi, anziché 38, allargando comunque la forbice di una riforma che non è esaustiva per quello che il sindacato chiede, perché nella nostra piattaforma unitaria abbiamo immaginato unuscita flessibile a 62 anni, anche in considerazione delle esigue risorse che il governo ha messo a disposizione del provvedimento nel triennio, ha continuato lesponente Cgil. Altro problema enorme, quello dei giovani, per i quali noi abbiamo proposto di creare una pensione contributiva di garanzia, che permetta ai precari che non hanno davanti a loro lunghe carriere lavorative, di ricevere in futuro un assegno dignitoso. Questione che non può essere risolta con la pensione di cittadinanza a 780 euro. In realtà, anche se il governo non intende farla, è urgente una discussione su una riforma previdenziale seria, che abbia il criterio della flessibilità fino in fondo, consentendo la libertà di scelta ai lavoratori, in un sistema economico in equilibrio. Insomma, bisogna capire che il mondo del lavoro non è tutto uguale e quindi immaginare quota 100 senza fare una minima distinzione fra chi fa il muratore, chi fa limpiegato, chi è precario, chi è donna, determina oggi delle platee profondamente diverse, ha concluso il sindacalista.