Tra gli eroi e le eroine invisibili della pandemia ci sono gli addetti ai vari uffici amministrativi di Asl, ospedali e istituzioni sanitarie. Di loro non si parla e non si è parlato mai, nemmeno durante le settimane del lockdown. Ma tra quelli ritenuti essenziali ci sono anche questi lavoratori e lavoratrici. Per consentire agli ospedali di rimanere aperti e aumentare la propria capacità di accogliere e curare c’erano e ci sono loro. Hanno garantito, e continuano a farlo, il reclutamento del personale, la copertura dei turni, la riorganizzazione dei reparti e di ospedali. Si sono inventati le strategie più diverse per riuscire a trovare i dispositivi di protezione individuale o i respiratori e i caschi per l’ossigeno quando anche trovare una mascherina era una impresa titanica. Anche loro erano e sono pochi rispetto alle necessità degli uffici nei quali operano.

“Io sabato manifesterò perché la logica che sta dietro la gestione della sanità pubblica è completamente distorta” ci dice Letizia Guerini Rocco che lavora nella Asst di Crema, così in Lombardia hanno ribattezzato le aziende ospedaliere, si occupa di personale e nello specifico di reclutamento di personale. “Credo ci sia la volontà di affossare la sanità pubblica e di favorire il privato – spiega – noi che viviamo in Lombardia questo aspetto lo sentiamo molto, lo viviamo fortemente”.

Guerini Rocco lavora alle risorse umane e si occupa di reclutamento del personale “che proprio non si trova, non riusciamo a reclutarlo, non c’è sul mercato” e riflettendo proprio sui suoi compiti sostiene che per un piccolo ospedale come il suo, con circa 1400 dipendenti, la quantità e la qualità del personale fa la differenza. Era una struttura completa che rispondeva bene alle esigenze del territorio. Oggi “è svuotata dei professionisti e svuotata anche di quelle che erano le sue peculiarità e quindi diventa anche poco appetibile. Il problema per noi è enorme, perché i professionisti sono pochi e questo si ripercuote ovviamente sui carichi di lavoro. Enorme, perché non riusciamo più ad offrire i servizi di ottimo livello che fornivamo prima, conseguentemente diventiamo sempre meno appetibili. E questo ovviamente poi pregiudica anche la possibilità di trovare chi voglia effettivamente venire a lavorare da noi”.

Insomma, è una sorta di cane che si morde la coda, manca personale, si depauperano qualità ed efficienza mentre aumentano carichi di lavoro e stress, e così medici e operatori sono poco incentivati ad andarci a lavorare. E tutto questo vale anche per il personale amministrativo troppo poco e inadeguato rispetto non solo rispetto a quanto c’è da fare, ma anche alla complessità di mansioni che l’avvento del Covid ha comportato e comporta con la proliferazione delle procedure. Il tutto lavorando 36 ore a settimana per uno stipendio che va dai 1200 ai 1400 al mese. “In realtà siamo tutti costretti a fare straordinari, ormai si vive pressoché qui dentro, per cercare poi di tenere in piedi quello che sembra sempre più per un castello di carte”.

Se le domandiamo di raccontarci “la privatizzazione strisciante” che lei vive con preoccupazione e come fallimento, la descrizione arriva come un fiume in piena: “Siamo completamente in mano alle cooperative che per la parte sanitaria e dal punto di vista della preparazione e della qualificazione sono assolutamente scarse. Nella stragrande maggioranza dei casi è gente che fa marchette e quindi non gliene frega niente di fare qualità”. Guerini Rocco prosegue sempre più arrabbiata nel descrivere una situazione che, come diretta conseguenza, ha la scarsa qualità dei servizi ai cittadini. E stiamo parlando di salute: “Questi medici, non essendo strutturati, non stanno neanche alle regole, fanno quello che vogliono, per cui si permettono all'ultimo momento di dire che non vengono e quindi abbiamo il turno medico scoperto”.  

Per fortuna, l’uso delle cooperative, a Crema, l’uso di professionisti esterni, coinvolge solo i medici. “Sugli infermieri ancora teniamo duro”. Ma la stessa pratica, invece, è diffusa proprio in ambito amministrativo: “Sempre più spesso una parte del nostro lavoro viene affidato a consulenti esterni”. Il paradosso di tutto questo è che seguendo questa strada le spese per l’ospedale aumentano esponenzialmente: “Per un turno da 12 ore il medico esterno riceve un compenso di circa 1000 euro, uno strutturato un compenso mensile di circa 2500. Ovviamente – aggiunge la nostra interlocutrice - c'è competizione all'interno di uno stesso reparto perché ci sono dei medici che sono sempre stati qui e hanno sempre lavorato e hanno preso gli stipendi previsti dal contratto, e ci sono poi questi esterni che magari forniscono un servizio molto scadente e che vengono pagati così”. E anche a Crema la conseguenza è la fuga degli operatori che si dimettono dalla struttura pubblica e vanno a “lavorare” in queste strutture private che poi al pubblico forniscono operatori a “gettone”.

E non finisce qui, la preoccupazione è verso la sanità che verrà. In Lombardia, come nel resto del Paese, si deve ricostruire la rete territoriale, quello che Letizia Guerini Rocco paventa è che le strutture fisiche pagate con risorse pubbliche, case e ospedali di territorio, siano poi riempite di operatori privati. Insomma, davvero oltre al danno la beffa, con i fondi del Pnrr si potrebbero allestire studi e ambulatori per i privati che così abbatterebbero i loro costi di gestione.

Sabato prossimo, allora, in piazza in Piazza del Popolo a Roma per difendere la sanità pubblica e universale.