La povertà non è stata abolita. Anzi, negli anni della pandemia è aumentata. Inevitabile, si dirà. Può darsi, ma forse no. In ogni caso sono le cifre a raccontare un fenomeno acuito dal Covid ma ben presente anche prima, e il Reddito di cittadinanza, per chi lo ha ottenuto, ha contribuito a render meno dura la situazione. Certo non ad affrancarsi dalla miseria. Perché questo è un fenomeno sociale complesso, i cui determinati sono numerosi; e se il sostegno economico è indispensabile, da solo non basta.

I numeri, dicevamo. Secondo l’Istat le famiglie in povertà assoluta sono oltre 2 milioni, di queste nel 2021 hanno ricevuto almeno una mensilità del Reddito o di Pensione di cittadinanza 1.655.343 persone. Per 3.727.113 persone complessivamente coinvolte, ne mancano all’appello davvero troppe. E l’importo medio erogato è pari a 547,72 euro. A fornire queste cifre è l’istituzione che eroga il beneficio e reperirle è facile, basta andare sul sito dell’Inps e leggere i dati pubblicati periodicamente dall’Osservatorio dell’Istituto.

I bimbi e le bimbe in povertà, sempre secondo l’Istituto nazionale di statistica, sono circa un milione e 200mila, spesso si trovano in molti nella stessa famiglia. Ebbene, nel mese di luglio di quest’anno i nuclei percettori con almeno un componente minore sono 449.028 (per 1.668.471 persone), con importo medio pari a 662,69 euro. È facile comprendere che non tutte le famiglie con figli in povertà hanno ricevuto il sussidio, non solo ma che l’assegno, quando ci sono bambini, è in proporzione più basso dei nuclei composti da uno o più adulti. Davvero un bel paradosso.

I migranti sono quelli che fanno i lavori meno pagati: e anche su di loro la scure della pandemia si è abbattuta con violenza. Le famiglie con almeno un componente straniero sono il 30% di quelle in povertà, nel mese di luglio i nuclei con il richiedente la misura di cittadinanza extra-Ue sono 129.571 (326.830 persone totali), con importo medio pari a 548,59 euro. È interessante notare, che i nuclei con uno straniero ai quali è stato erogato il Reddito di emergenza nel 2021 (che non pone requisiti di residenza a 10 anni), sono stati 224.373 su 573.007 totali. Anche in questo caso bel paradosso.

 

 

 

A fugare qualsiasi fondamento alla polemica sui “furbetti del divano” ci ha pensato direttamente il presidente dell’Inps Pasquale Tridico intervenendo alle Giornate del lavoro della Cgil. Chi non avesse avuto occasione di ascoltarlo ha un modo semplice per capire: cercare i numeri.

L’ultimo Rapporto Annuale Inps riporta un monitoraggio effettuato sui beneficiari in età da lavoro (18-64 anni) da cui emerge che: il 43% (1,5 milioni di individui sul totale di 3,6 tra 18-64 anni) dei componenti i nuclei che hanno fatto richiesta di Rdc tra marzo 2019 e marzo 2021, ha contributi versati. La percentuale scende al 33% considerando le sole domande accolte (699mila persone su totale di 2 milioni). Circa due terzi quindi sembra “estranea al mercato del lavoro e alle prestazioni di sostegno connesse” nel 2018/2019. Il 75% dei percettori risulta non occupato nel 2019. Insomma, soltanto un terzo di quanti hanno ottenuto il sostegno economico sono “occupabili”. Ed infatti, l’ultimo Focus Anpal pubblicato dice che tra  i beneficiari, i soggetti tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro, al 30 giugno 2021, sono un milione e 150 mila, compresi in 702.139 nuclei familiari. Il 34,1% ha sottoscritto un Patto per il Lavoro (392mila persone). Circa il 72% dei beneficiari soggetti al patto per il lavoro ha un titolo di istruzione secondaria inferiore.

Infine, l’Europa. Lo dicevamo: l’Italia è arrivata buon ultima a dotarsi di uno strumento di contrasto alla povertà. Altri Paesi non solo hanno fatto prima, ma anche meglio. Basti pensare che solo da noi l’accesso beneficio per gli stranieri è vincolato alla residenza da almeno 10 anni. La media europea si attesta esattamente sulla metà: cinque anni. In quasi tutti i Paesi dell’Unione i percettori della misura di sostegno, Paese che vai nome che trovi, devono essere disponibili ad aderire e a partecipare a un programma di integrazione sociale e formazione lavorativa. In 10 è obbligatorio accettare qualsiasi offerta di lavoro arrivi, in altri 11 l’obbligo riguarda solo le offerte adeguate. Dando uno sguardo ai due Paesi nostri punti di riferimento, scopriamo che in Germania hanno diritto all’assegno tutti quei cittadini e cittadine che sono sotto la soglia di povertà anche se hanno un lavoro: lo Stato integra il reddito con importi differenti a seconda della composizione del nucleo familiare. Il percettore del beneficio, lo dicevamo, è tenuto a sottoscrivere un patto e ad accettare i lavori che gli vengono offerti.

In Francia, basta aver compiuto 25 anni e non avere un lavoro per fare la domanda per il Revenu de solidaritè active. L’assegno per una famiglia con un unico componente è pari a 530 euro. Se il nucleo familiare è composto da quattro persone, l’assegno arriva a 1.187 euro circa e per ogni componente in più si aggiungono 220 euro. Chi ottiene l’assegno deve partecipare a programmi di reinserimento e qualificazione e deve accettare qualsiasi offerta di lavoro. Il beneficio non ha scadenza temporale.