Cresce anche in Puglia il numero dei nuclei familiari percettori di almeno una mensilità tra reddito e pensione di cittadinanza. Nel 2021 sono stati 147.879, per 344.217 persone coinvolte, con un importo mensile medio di 552 (secondo le cifre diffuse dall’Osservatorio statistico dell’Inps aggiornato a luglio scorso). “Un dato - commenta il segretario generale della Cgil regionale Pino Gesmundo - che evidenzia come la crisi pandemica ha accentuato la sofferenza delle famiglie, essendo aumentati di 46 mila unità i nuclei coinvolti rispetto al 2019, anno di istituzione della misura”.

Le famiglie che hanno percepito almeno una mensilità di reddito di cittadinanza sono state nei primi sette mesi dell’anno 135.071 (erano 91 mila nel 2019 e 128 mila nel 2020), per 329.223 persone coinvolte. A queste si sommano le 52.350 famiglie percettrici del reddito di emergenza, con 129.009 persone coinvolte. “Oltre il 10 per cento della popolazione pugliese percepisce sostegno al reddito, spesso l’unico, e sappiamo dai dati Istat che il 22 per cento vive in condizione di povertà relativa, cioè in famiglie di due persone che in un mese spendono per consumi una cifra uguale o inferiore a quella che spende in media una persona”, riprende Gesmundo.

Il segretario Cgil rileva che, di fronte “a uno scenario così drammatico, gli attacchi al reddito di cittadinanza risultano strumentali. Se davvero c’è chi rifiuta un lavoro percependo questi importi medi appena di drammatica sussistenza, significa che i salari che si propongono sono da fame, contrassegnati da prestazioni in nero o grigio. E smontiamo un falso mito: nessun percettore della misura può rifiutare un’offerta di lavoro regolare, pena la perdita del sostegno. A chi si rivolgono le imprese che dichiarano che non si ha voglia di lavorare perché si preferisce stare sul divano vivendo di miseri 500 euro al mese?”.

Per uscire da questa spirale della povertà, è evidente che “serve investire sulle politiche attive del lavoro, rafforzando ruolo e funzioni dei Centri per l’impiego, spingendo sulla formazione e sull’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Si deve poter vivere di lavoro ma in modo dignitoso, non essere poveri pur lavorando, tra lavori precari, saltuari e sfruttati. E nell’affrontare la povertà emergente va rafforzato il welfare pubblico, va consentito alle famiglie povere l’accesso alle cure sanitarie, all’istruzione, senza dover sostenere costi aggiuntivi”.

Per Pino Gesmundo occorre dunque impegnare “le risorse del Pnrr e dei fondi strutturali per potenziare i servizi pubblici, per investimenti che creino buona e stabile occupazione”. E c’è un elemento, conclude l’esponente sindacale, che è particolarmente drammatico: “Se si va a guardare l’incidenza della povertà per fasce d’età, emerge come i nuovi poveri nel nostro Paese siano soprattutto i giovani, l’11,3 per cento tra i 18 e i 34 anni. Ecco cosa hanno prodotto gli attacchi al lavoro e ai suoi diritti. Per questa ragione è doppiamente offensivo proseguire con la falsa retorica dei giovani che preferiscono il divano e il reddito di cittadinanza, loro che sono state le prime vittime di trent’anni di politiche neoliberiste”.