Che la situazione sia grave in Regione si sa e i numeri sono lì a testimoniarlo, ma più dei dati a raccontare l’emergenza che si vive e la difficoltà a farvi fronte sono alcuni atti. La riapertura dei due ospedali Covid, allestiti di tutta fretta durante la prima ondata e poi chiusi, una “raccomandazione” inviata lo scorso 26 ottobre dal responsabile della direzione generale area welfare della Regione alle direzioni sanitarie delle Ats e delle Asst, che dà indicazione “in considerazione dell’attuale contesto emergenziale” per cui i positivi al coronavirus asintomatici rimangono al lavoro (vanno però monitorati attentamente che non insorgano i sintomi) e poi quando finiscono il turno devono porsi in quarantena. Siamo davvero al paradosso, ma appunto dettato da una cronica carenza di personale aggravata dalla pandemia. 5000 è il numero di medici infermieri tecnici operatori socio sanitari che mancavano all’appello prima dello scorso febbraio, figuriamoci ora. Ed infatti per aprire i due Covid Center realizzati nelle fiere di Milano e Bergamo si sposta personale da ospedali di tutta la Regione, anche dalle province di Varese e Monza, le più colpite in queste settimane, riducendo e sospendendo le attività ordinarie. Attività ordinarie che ancora non sono riuscite a smaltire gli arretrati che si erano accumulati durante le settimane di lockdown. E gli operatori sanitari, esposti al contagio, si ammalano più di altri lavoratori, in Lombardia sono all’incirca 2000 ma ovviamente i numeri cambiano di giorno in giorno.

“La verità è che non si è imparato nulla, l’esperienza fatta in primavera sembra non essere servita”, afferma Monica Vangi, segretaria regionale della Cgil. “Da allora è davvero cambiato poco”. Tempo sprecato dunque e tutte le fragilità del Servizio sanitario regionale tornano al pettine in questa seconda ondata che sembra più forte della prima. Lo dicono appunto i numeri, venerdì 6 novembre contava 117.366 positivi con un aumento rispetto al giorno precedente di 9.934, ma il dato più allarmante è il tasso di saturazione delle terapie intensive, pari al 49% della disponibilità dei posti e dei letti Covid ordinari occupati al 69%. È bene ricordare che secondo i parametri definiti dal Comitato tecnico scientifico la situazione diventa critica quando le terapie intensive vengono occupate da malati colpiti da coronavirus oltre il 30% e per i reparti ordinari la soglia è del 40%. In Lombardia siamo davvero oltre.

La situazione è preoccupate su tre versanti, sostiene ancora Vangi, gli ospedali appunto, il territorio e le Rsa”. Nei nosocomi non solo c’è poco personale ma il clima che si respira tra gli operatori è di “scoramento e delusione”. Se a marzo e aprile erano sostenuti dall’adrenalina e dalla consapevolezza che sarebbe durata solo qualche settimana, ora si ritrovano nuovamente in una situazione di stress e iperlavoro senza che nulla o quasi sia stato fatto per metterli in una condizione di lavoro migliore. Pochissimo il personale assunto, anzi a molti di quelli reclutati grazie ai decreti di marzo il contratto è scaduto a settembre e non è stato rinnovato e oggi ci si ritrova nuovamente senza medici e infermieri.

Sara (nome di fantasia) ha un volto simpatico e solare, fa l’infermiera nel reparto pediatrico di un grande ospedale. Si occupa di bimbi anche malati di Covid, da lei mancano infermieri, sono saltati riposi e ferie e a il lavoro è davvero troppo. Ma Sara continua a sorridere mentre racconta: “Finalmente qualche settimana fa sono arrivare due nuove infermiere e abbiamo tirato un gran sospiro di sollievo, certo sono poche ma meglio di nulla. E poi un paio di giorni fa la doccia fredda, la nostra coordinatrice ci ha comunicato che l’Ospedale deve fornire 20 infermieri per la struttura aperta in Fiera e noi dovremmo di nuovo fare a meno delle due colleghe in più”.

E sul territorio non va meglio, continua il suo racconto la segretaria regionale della Cgil, distretti e medici di medicina generale depotenziati ed isolati fanno quel che possono, secondo il Decreto del 9 marzo la Regione avrebbe dovuto istituire almeno 200 Usca, se ne contano al massimo 46. “Ma la cosa più grave è che nessuno parla con nessuno, le Ats non si relazionano con i medici di base e con i pediatri di libera scelta, le aziende ospedaliere lo stesso, nessuno sa quante Usca ci siano nel proprio bacino. Insomma manca una regia regionale”. Per non parlare del tracciamento, qualche esempio? A Cremona sono tre gli operatori addetti al servizio, a Varese 4, “La regione aveva fatto una delibera per reclutarli ma non siamo riusciti a sapere se e quanti ne siano stati assunti. Siamo all’autogestione dei cittadini che si rivolgono ai centri privati”.

La terza criticità, lo dicevamo, sono le Rsa. Dovevano essere messe in sicurezza ed invece tornano luoghi di contagio, già una settimana fa erano oltre 500 le richieste di ricovero in ospedale per ospiti delle Residenze in condizioni non gestibili. E anche in questo caso non esiste una comunicazione di queste strutture con le Usca o altri presidi del territorio. Dice ancora Vangi: “Avevamo avanzato due richieste alla Regione per cercare di affrontare questa emergenza nell’emergenza. Sottoporre a test personale e ospiti ogni 15 giorni e l’abbiamo ottenuto. E poi, soprattutto in vista di spostamenti da una Rsa ad un’altra dato che si sta pensando di costituire Rsa Covid e Rsa Covid free, abbiamo chiesto il blocco delle rette e c’è stato risposto di no”.

“I Pronto soccorso, soprattutto quelli degli Ospedali di Milano, Varese e Monza ma anche gli altri, sono sottoposti a una pressione fortissima perché non funzionano i presidi del territorio. Ma non ce la fanno più”, dice a Collettiva il segretario della Fp Cgil della Lombardia Gilberto Creston “e con il personale si sta procedendo al gioco delle tre carte, li si sposta da una struttura ad un’altra ma sempre quelli – pochi – sono”. Certo, aggiunge, per chi va a lavorare nelle Fiere abbiamo ottenuto alcune assicurazioni sugli incentivi e sulle condizioni di volontarietà ma non sappiamo fino a quando si riuscirà a garantirli. Denunciamo la carenza di personale da anni e in questi mesi non si è nemmeno riusciti a coprire il turnover, ad ottobre il personale assunto è stato inferiore a quello andato in pensione nello stesso mese”. Non solo, ancora Creston sottolinea che medici infermieri e operatori sanitari da assumere ce ne sono davvero pochi e il rischio è che quelli oggi impegnati nelle Rsa partecipino ai bandi di reclutamento degli ospedali perché le condizioni contrattuali e professionali sono migliori lasciando, però, sguarnite quelle strutture. Un vero cane che si mangia la coda.

La responsabilità di tutto questo arriva da lontano. L’ha ricordato venerdì scorso il ministro della Salute Roberto Speranza alla Camera dei deputati: “Paghiamo il prezzo di avere tenuto per troppi anni una norma che blocca la spesa per il personale al 2004 meno l’1,4%, per me questo del personale è il problema più grande con cui fare i conti. Un respiratore, una mascherina si acquistano ma un medico, un anestesista non si comprano al mercato, ci vogliono anni di formazione e di investimenti. Dobbiamo avere il coraggio di dire questa verità”. A quando, allora, la modifica del blocco della spesa per il personale e l’aumento consistente delle borse per le specializzazioni mediche?