“Mia suocera Anna è ospite da oltre un anno in una Rsa lombarda. Da febbraio non è stata più chiaramente accessibile, se non con videochiamate e da fine maggio in presenza, per mezz’ora ogni 7/10 giorni, due parenti alla volta, con una modalità assai sicura: Anna resta all’interno della struttura, seduta davanti a una finestra chiusa, mentre noi parenti stiamo dall’altra parte del vetro, all’esterno, tutti con la mascherina. Non esiste alcuna possibilità di contatto e dunque di contagio...". Abbiamo voluto prendere spunto da queste parole scritte su Facebook da un personaggio noto, Frankie Hi-Nrg mc, che ha non ha voluto nascondere la sua triste esperienza di una parente ricoverata in una delle tante Rsa, le Residenze Sanitarie Assistenziali, che in questi giorni tornano all’attenzione delle cronache per il nuovo boom dei contagi tra gli anziani. Ed è un sistema, quello dell’assistenza e cura degli anziani con patologie, che viene rimesso in discussione dai fatti. Sembra infatti che dalla prima esperienza non si siano tratte le dovute lezioni, con la seconda ondata si ripete una scena già vista: contagi tra gli ospiti delle Rsa, gli operatori e blocco delle visite dei parenti. Gli anziani con patologie degenerative si sentono abbandonati e - costretti a guardare il mondo dalle finestre - rischiano di peggiorare.

E stavolta c’è anche il Sud
Il 60 per cento delle Rsa italiane sono concentrate nelle regioni del Nord, in particolare Lombardia, Piemonte e Veneto. Durante la prima ondata del Covid-19 le regioni del Sud (dove le Rsa sono poco diffuse anche perché gli anziani malati sono spesso assistiti in famiglia) sono state risparmiate dal contagio. Questa volta è diverso. La cronaca ci dice che i contagi continuano a salire nelle strutture per anziani di tutta la Penisola. Dopo il caso del Pio Albergo Trivulzio, l’istituto milanese diventato uno dei luoghi simbolo della strage di anziani della scorsa primavera, dove negli scorsi giorni sono stati 14 gli ospiti ricoverati che sono risultati positivi al coronavirus dopo gli esami di screening eseguiti nella settimana dal 12 al 16 ottobre, l’attenzione ora è alta anche in Puglia. A Triggiano, nel Barese, c’è un focolaio di 90 persone positive su 200 all’Hotel San Francisco. In Calabria il presidente facente funzione Nino Spirlì ha firmato un’ordinanza con misure più restrittive, tra cui quelle che riguardano le visite nelle case di riposo per anziani. In Puglia, nel barese l'ultimo focolaio è divampato nella Rsa Hotel San Francisco di Triggiano dove si contano 90 positivi fra degenti e dipendenti.

Non abbiamo imparato niente
“Nella maggior parte delle strutture per anziani non si è fatto nulla da marzo. Anche questa volta abbiamo Rsa con 50/60 ospiti e un contagio al 90%”, dice Antonella Pezzullo, segretaria nazionale dello Spi con delega alle politiche socio-sanitarie. Il guaio, spiega la dirigente del sindacato dei pensionati della Cgil, è che non si è fatto niente neppure sul piano della medicina territoriale. L’unica vera alternativa infatti sarebbe quella di incentivare gli interventi sanitari e socio assistenziali di prossimità, favorendo l’assistenza domiciliare per permettere agli anziani (anche quelli affetti da demenza) di poter vivere i loro ultimi anni in famiglia. Invece non è stato fatto nulla di veramente efficace e comunque quello che è stato fatto non è bastato: le Rsa sono state chiuse, ma il virus è penetrato lo stesso. “Evidentemente – spiega Antonella Pezzullo – oltre alla mancanza di interventi logistici nelle strutture, quella che è mancata è una riflessione generale sul sistema nel suo complesso”. Uno dei problemi emergenti riguarda infatti la natura stessa delle Rsa, che si chiamano Residenze Sanitarie Assistenziali, ma in realtà sono spesso carenti della componente sanitaria. Un dato che con questa seconda ondata rischia perfino di peggiorare perché in queste strutture mancano medici e infermieri.

La migrazione degli infermieri
Per Michele Vannini, segretario nazionale della Funzione Pubblica della Cgil, uno dei problemi nuovi rispetto alla prima ondata riguarda proprio la carenza di personale. In questi mesi – dice il sindacalista del lavoro pubblico – c’è stata una vera e propria migrazione di personale dalle Rsa alle strutture pubbliche, in primo luogo gli ospedali. Lo spostamento di personale sanitario ha riguardato i medici, ma soprattutto gli infermieri. E ora in molte strutture rischia di scattare una vera e propria emergenza. “Tutti gli operatori – spiega ancora Vannini – sono anche molto stanchi e provati. Nessuno ha mai mollato in questi mesi. La prima botta di marzo è stata affrontata e assorbiti con grande spirito di sacrificio. Ora la seconda ondata di ottobre mette alla prova in modo ancora più pesante perché in primavera gli operatori avevano il traguardo dell’estate dove si sarebbe abbassata la pressione. Ora invece siamo di fronte all’inverno con meno risorse umane”. Ed è anche evidente a tutti che per un infermiere che manca o uno che se ne va o si ammala, non esiste una sostituzione con personale non specializzato e con caratteristiche esclusive di assistenza sociale. Un allarme che in questi giorni stanno rilanciando vari soggetti anche nel mondo del Terzo Settore e della cooperazione. “Il rischio – dice per esempio Eleonora Vanni, presidente di Legacoopsociali – è che con lo sblocco delle assunzioni nel settore sanitario pubblico venga data priorità ancora una volta solo agli ospedali. Il privato sociale rimarrebbe di nuovo indietro”.

Emergenza Piemonte
Anche in Piemonte è di nuovo allarme. In una Rsa nella cintura torinese che ospita 90 pazienti, la metà è risultata positiva al virus. E il contagio rischia di diffondersi anche in altre strutture nonostante il fatto che gli anziani contagiati vengono ricoverati subito negli ospedali (a differenza della prima ondata durante la quale si poteva riscontrare anche il percorso inverso: dagli ospedali alle Rsa). E anche in Piemonte l’emergenza riguarda la carenza di infermieri professionali. Ce lo conferma Graziella Rogolino, segretaria regionale dello Spi con delega alle politiche socio sanitarie. “Anche da noi c’è una forte carenza di medici specialistici e di infermieri. Ma per far fronte all’emergenza si dovrebbe ricorrere a provvedimenti straordinari. Si dovrebbe pensare per esempio ad una legge apposita che permetta di esercitare subito agli infermieri che stanno finendo la scuola, così come si è fatto per i medici specializzandi”. Lo Spi del Piemonte, come succede in tante altre Regioni, è comunque in campo per trattare a tutti i livelli istituzionali e per attivare un monitoraggio continuo della situazione delle Rsa.

La seconda volta della Lombardia
Le notizie sul Pio Albergo Trivulzio ci hanno riportato indietro di qualche mese, all’inizio di quella che poi sarebbe stata definita una vera e propria strage di anziani nelle strutture lombarde e in quelle di tante altre regioni italiane. “Le Rsa hanno di nuovo chiuso le porte ai parenti – ci dice Federica Trapletti, la segretaria regionale dello Spi con delega al socio-sanitario. “E questa volta riscontriamo anche un’anomalia rispetto alla prima ondata: molti anziani contagiati sono asintomatici”. L’altra caratteristica specifica di questa nuova ondata riguarda – come abbiamo visto anche in Piemonte -  la carenza di operatori che viene resa più pesante anche dal divieto di accedere alle Rsa ai volontari che svolgevano attività ricreative per gli anziani che si sentono così sempre più soli”. Altro elemento caratterizzante la nuova ondata lombarda riguarda l’atteggiamento delle direzioni delle Rsa. Vista la situazione di crisi e vista l’impossibilità di rinnovare la presenza di ospiti nelle strutture, ora le Rsa hanno cominciato un vero e proprio pressing sulla Regione per avere più finanziamenti. “Ma oltre a richiedere risorse finanziarie pubbliche – spiega Trapletti – il rischio sempre più probabile è quello di un aumento delle rette per il 2021”. Si potrebbe quindi verificare un triste paradosso: si chiederanno più soldi alle famiglie per lasciare magari il proprio parente da solo davanti ad una finestra, a guardare la luna. Sempre più urgente dunque un ripensamento generale sull’intero sistema.