Da dieci anni la sanità in Calabria è un paradosso. Il sistema pubblico continua ad essere commissariato, mentre le strutture private accreditate sono tra le più numerose e care di tutta Europa. Francesco Masotti, coordinatore Medici della Fp Cgil, come si è arrivati a questo circolo vizioso e perché non si riesce a uscirne?

Uno dei principali fattori di instabilità che si ripercuotono negativamente sull’efficienza e la funzionalità del  sistema sanitario della Regione Calabria è rappresentato dalla situazione finanziaria delle aziende sanitarie  ed ospedaliere, che presenta diversi elementi di incertezza rispetto alla effettiva dimensione quantitativa  dei disavanzi maturati negli anni. C’è un forte disallineamento dei dati economico-finanziari, che emerge dalla verifica degli adempimenti regionali in materia di sanità.

La Calabria ha un numero di posti letto privati tra i più alti e costosi d'Europa (e il prezzo più caro lo pagano i cittadini). C'è un legame con il fatto che il bilancio regionale venga "risucchiato" dalla sanità?

Per anni (fino al 2014) la Regione Calabria ha distribuito i fondi alla sanità privata e i privati producevano per quanto accreditato senza alcuna programmazione, con pagamenti di tutto quanto prodotto, a fine anno. Si sono privilegiate, quindi, non le strutture private che producevano prestazioni ad alta complessità e che contrastano la mobilità fuori regione, ma quelle che offrivano prestazioni di minore complessità, come quelle ambulatoriali o di laboratorio. I privati accreditati gestiscono complessivamente il 34% dei posti letto per acuti della Regione Calabria, con percentuali che vanno dal 21% della Provincia di Vibo Valentia al 60% della Provincia di Crotone. Il Bilancio di competenza della Regione Calabria, per l'anno 2020, ammonta complessivamente a circa 7,5 miliardi di euro. Le risorse destinate al finanziamento del servizio sanitario regionale valgono per il 55% del bilancio (4,125 miliardi di euro).

In quali condizioni lavorano medici, infermieri e operatori calabresi e quanti ne mancano all'appello?

La carenza di personale è un dato altamente preoccupante ed è uno dei fattori determinanti della riduzione dei servizi, del lievitare delle liste d'attesa e della conseguente crescita della mobilità passiva, il cui costo incide fortemente sul disavanzo. Come conseguenza della carenza del personale, bisogna aggiungere la crescita dell'età media degli operatori sanitari, a fronte di un forte aumento dei carichi di lavoro individuali.  Le cifre sono allarmanti: tra il blocco del turn over, quota 100 e i pensionamenti ordinari, alla fine del 2020 la Calabria potrebbe registrare una carenza di circa 3500 infermieri e 1400 medici. Non esistono dati reali sull’"emigrazione" dei giovani medici laureati all'Università di Catanzaro che lasciano la Calabria. È chiaro, però, che l'impossibilità di partecipare ai concorsi pubblici, a causa del blocco del turn over, obbliga questi professionisti a cercare un’occupazione stabile in altre regioni italiane o, addirittura, in altri paesi europei.

Quanti sono i pazienti costretti e curarsi fuori dalla Calabria, o in strutture private, e per quali ragioni? 

Semplificando, potremmo rispondere che fino a questo momento non è stato privilegiato un sistema premiante per coloro che offrivano prestazioni mediche e chirurgiche di alto livello in campo cardiologico, ortopedico, oncologico. Inoltre, sono mancati gli investimenti in tecnologie d'avanguardia, come per esempio pet e acceleratori lineari. Gli ultimi dati disponibili, parlano di 41.223 ricoveri ordinari erogati ai residenti della Regione Calabria nelle strutture pubbliche e private di altre Regioni (mobilità passiva), di cui 2816 ricoveri riguardano le attività post-acuzie.

 

 

 

Teodora Gagliardi, Fp Cgil: "Combattiamo i contratti pirata nella sanità privata"

 

(Con la collaborazione di Fabrizio Ricci)