Due facce della stessa medaglia. La questione delle badanti si può vedere dal punto di vista delle lavoratrici (sono nella maggior parte donne e spesso donne immigrate) e da quello delle persone anziane o disabili che hanno bisogno della loro assistenza continua. Ma sono facce della stessa medaglia perché il fenomeno (quasi esclusivamente italiano) si è sviluppato sulla base di due criticità o due debolezze: da una parte, un sistema di welfare che non riuscendo a soddisfare tutti i bisogni delle famiglie, nei fatti, ha delegato al mercato del lavoro privato delle badanti il servizio fondamentale di cura; dall’altra, la fragilità del mercato del lavoro di cura che non offre garanzia di regolarizzazione nel tempo.

“Il fenomeno delle badanti fotografa un bisogno reale al quale non viene data risposta da parte del pubblico”, spiega Antonella Pezzullo, segretaria nazionale dello Spi Cgil: “La necessità di avere un’assistenza spinge molti anziani e molte famiglie a cercare una badante. In assenza di altre soluzioni, questo si traduce in un impegno economico che in media si aggira sui mille euro al mese. Da un lato ci sono dunque le famiglie che vedono ridursi il reddito complessivo per avere un servizio, dall’altro ci sono queste lavoratrici che accettano retribuzioni inferiori alle medie contrattuali perché, magari essendo ospitate, non hanno da pagare il vitto e l’alloggio”.

Anche da questo punto di vista si incontrano (e scontrano) due fragilità: se da una parte ci sono le basse retribuzioni (che però per le famiglie sono già alte), dall’altra, dal punto di vista delle persone anziane, c’è un servizio che è limitato perché non include prestazioni sanitarie che invece sarebbero necessarie quotidianamente in molte situazioni. Dalle statistiche e dai dati risulta, infatti, che solo il 12% delle badanti ha una qualche competenza in campo sanitario. E questo non significa che le donne che lavorano in Italia come badanti abbiamo un basso livello di scolarizzazione. Anzi, spesso si tratta di persone laureate o comunque con titoli di studio alti, ma tutti in ambiti e discipline diverse da quelle socio-sanitarie.

Molte donne arrivano dai Paesi dell’Est, hanno una età media compresa tra 45 e 50 anni, hanno appunto titoli di studio elevati e sono state costrette magari a lasciare i figli nei Paesi di provenienza dove erano rimaste disoccupate. Da parte degli anziani e delle famiglie, in assenza di una mediazione da parte dello Stato, ci si deve arrangiare e adattare. Ma, sempre secondo Antonella Pezzullo, è proprio questo che manca: una vera presa in carico del problema da parte delle istituzioni pubbliche. Mancano anche strumenti legislativi come la legge nazionale sulla non autosufficienza, su cui i sindacati dei pensionati e quelli confederali portano avanti una battaglia da anni.

Il problema della mancanza di servizi e di assistenza pubblica si complica ulteriormente per la tendenza (anche questa molto italiana) di monetizzare il disagio, come nota il presidente dell’Auser, l’Associazione per l’invecchiamento attivo, Enzo Costa. “Noi abbiamo lottato come sindacalisti per tanti anni contro la monetizzazione della salute – dice – e ora siamo di fronte al paradosso della monetizzazione dei bisogni degli anziani. In Italia mancano i servizi alla persona e lo Stato dovrebbe cominciare a occuparsene seriamente, soprattutto in una società che invecchia rapidamente”.

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L’attuale sistema di assistenza socio-sanitaria domiciliare è molto limitato e nel 60% dei Comuni non risulta neppure esigibile. Anche il presidente dell’Auser mette in evidenza una delle questioni centrali di questo fenomeno, ovvero la scarsa preparazione sanitaria delle badanti, delle quali è anche difficile avere dei profili professionali. Proprio la caratteristica del lavoro sommerso di queste lavoratrici implica una carenza di informazioni anche perché solo una minima parte di loro è iscritta all’Inps. Difficile sapere anche la cifra complessiva di questo specifico mercato del lavoro di cura. C’è chi parla di 800 mila in tutta Italia, chi alza la cifra a oltre due milioni (le rilevazioni del Censis, per esempio).

“Ovviamente non abbiamo nulla contro le badanti – spiega ancora Costa – anzi sappiamo che senza di loro migliaia di anziani, spesso soli, sarebbero abbandonati a loro stessi o costretti al ricovero nelle case di cura. Il problema che poniamo è un altro: quello della possibilità di una verifica delle qualifiche professionali di operatrici che lavorano quasi sempre con persone fragili e non autosufficienti”. Anche Enzo Costa, quindi, giunge alla stessa conclusione della segretaria nazionale dello Spi Antonella Pezzullo. Il problema è quello di attivare il soggetto Stato, che non può continuare a delegare e scaricare la questione sul lavoro delle badanti. Per evitare quella che potrebbe tradursi in una guerra tra poveri, è necessario che lo Stato torni a farsi carico delle questioni del welfare non solo in generale, ma anche dal punto di vista dell’assistenza diretta alla persona.