"La partita previdenziale non è chiusa, in quanto bisogna sempre affrontare il superamento strutturale della legge Fornero. 'Quota 100' è un provvedimento a termine, ha dato risultati molto parziali e inferiori alle attese, come noi avevamo previsto, ma sarebbe un errore interromperlo prima della scadenza del 2021". Così Roberto Ghiseli, segretario confederale Cgil, oggi ai microfoni di RadioArticolo1.

"Pur non essendo una soluzione definitiva, in quanto non dà risposte alle donne, ai giovani, a chi fa lavori precari e pesanti, Quota 100 è sempre un'opportunità che si offre e che crediamo vada garantita, in attesa di definire una vera riforma previdenziale, con le caratteristiche contenute nella nostra piattaforma unitaria, per aumentare le possibilità di accesso alla pensione alle categorie più penalizzate che ho ricordato prima", ha detto il sindacalista.

"Sempre su Quota 100, assistiamo a un sottodimensionamento di richieste rispetto a quanto previsto dal governo gialloverde - in realtà, poco più della metà dei 300.000 lavoratori ipotizzati -, ed era illusorio pensare che il provvedimento sarebbe servito ad aumentare l'occupazione giovanile: è evidente che se si facilita l'uscita delle generazioni più anziane, qualche risultato lo si produce sui giovani, ma non nei termini propagandati dall'esecutivo. Nella pubblica ammnistrazione il quadro è diverso, perchè da tanti anni non si assume e qualsiasi uscita sta ora creando, com'era prevedibile, grosse carenze di organico, fino alla vera e propria emergenza nella sanità", ha continuato il sindacalista.

"Per quanto riguarda l'Ape sociale, ha avuto un utilizzo assai limitato da parte delle persone, concentrato nei settori dell'edilizia e in agricoltura, dove si fanno lavori gravosi, per via delle condizioni molto restrittive previste dal provvedimento, su cui, a suo tempo, abbiamo dato un giudizio positivo. Anche qui, il problema non è tanto una proroga, perchè allora faremmo un lavoro parziale, ma pensare a una legge quadro su tutta la materia, che porti a unità un sistema che da 25 anni va avanti per sovrapposizioni normative, creando più confusione di quanti problemi riesca a risolvere", ha aggiunto l'esponente Cgil.

"Abbiamo bisogno di un modello che metta ordine, imperniato su alcuni elementi: flessibilità in uscita a 62 anni, con almeno 41 anni di contributi a prescindere dall'età; riconoscimento delle fragilità presenti nel mercato del lavoro: lavori di cura, lavori femminili, lavori discontinui e lavori gravosi vanno comunque riconosciuti ai fini previdenziali, per impedire che una miriade di persone vada in pensione con assegni da fame. È soprattutto una questione di dignità: dobbiamo impedire che intere generazioni vadano in futuro in pensione in povertà assoluta, a 72 anni e con rendimenti inferiori ai 400 euro! Ci auguriamo che il nuovo governo sia disponibile a discutere con noi, riprendendo quei princìpi - poi in minima parte realizzati - su cui era d'accordo e che ci ha portato a sottoscrivere unitariamente il protocollo del settembre 2016", ha concluso Ghiselli.