Il 14 e 15 giugno si conclude all’università La Sapienza di Roma la Conferenza nazionale per la salute mentale, che ha visto la grande partecipazione di migliaia di persone, tra operatori, organizzazioni sociali, sindacati, associazioni di familiari e cittadini utenti di servizi, lungo le 31 tappe attraverso cui si è snodata in tutta Italia. Stefano Cecconi, responsabile salute Cgil nazionale, stamattina ai microfoni di ‘Italia parla’, la rubrica di RadioArticolo1, ha tracciato un bilancio dell’iniziativa.

“Tre parole - diritti, libertà e servizi - definiscono il senso della cavalcata che abbiamo fatto e tengono insieme gli obiettivi fondamentali che aveva la ‘180’, la legge Basaglia, che porta il nome del medico psichiatra che l’ha ispirata più di quarant’anni fa. In primis, restituire la possibilità di dare diritti a persone che erano state cancellate dalla comunità, prive di qualsiasi libertà, che erano state rinchiuse. Dal 1978 in poi, proprio grazie a quella legge, è stato possibile impedire che altre persone venissero internate nei manicomi. Parimenti importante è la parola servizi, perché diritti e libertà si affermano solo se concretamente si garantiscono servizi sociali sul territorio alle persone in stato di grave sofferenza mentale, quindi assicurando loro il lavoro, l’abitare, le relazioni umane; insomma, tutto quello che fa cittadinanza e piena inclusione, attuando il modello organizzativo della legge 833, la riforma sanitaria che ha introdotto il servizio sanitario nazionale, sempre nel 1978”, ha affermato il dirigente sindacale.

“Per quanto riguarda i servizi a disposizione di uomini e donne affetti da patologie mentali, oggi la situazione in Italia è a macchia di leopardo, sulla falsariga di quanto avviene con l’Ssn. Con un’aggravante, che la sofferenza delle persone affette da problemi di salute mentale e dei loro familiari è drammatica e quando un servizio non funziona le conseguenze sono disastrose. Per fortuna, abbiamo anche realtà eccellenti, con esperienze come quella del progetto Ero per l’abitare assistito, che il Dipartimento di salute mentale della Asl di Roma ha messo in campo da qualche mese ed è stato riconosciuto come modello anche dall’Unione europea. Un progetto che propone di sostituire il ricovero nei cronicari con l’abitare assistito, con piccole esperienze in alloggi, in cui intervengono anche gli operatori, dove si prova a riprendere nella quotidianità della vita quello che fa recupero, riabilitazione e cura stessa. Ci sono poi esperienze straordinarie in altre realtà, come Trieste, Emilia Romagna, dove i Csm sono aperti h24, festivi compresi, dove il numero di Tso si è ridotto drasticamente. Al contrario, vi sono tante situazioni di abbandono, servizi che sono diventati meri dispensatori di farmaci, con colloqui di una volta al mese con i pazienti: questo, in parte è legato a carenze di personale, in parte a un arretramento culturale che c’è stato negli ultimi anni”, ha osservato il sindacalista.

“È soprattutto un problemi di investimenti: laddove i fondi ci sono, la scommessa dell’integrazione è vincente, altrimenti si arretra, è ovvio; ma c’è anche un problema di riorganizzazione. Ad esempio, in molte regioni si spende una quantità di risorse pazzesca per residenze pesantissime, che diventa l’unica risposta data a pazienti e famiglie, commettendo un errore gravissimo, perché - come per gli ospedali -, non è una questione di posti letto in più o in meno. Un malato di mente ha soprattutto bisogno di vivere la vita quotidiana con gli altri , di non essere isolato. Perciò, occorre riconvertire culturalmente, organizzativamente e professionalmente l’attività di questi servizi. Servono più risorse, che però vanno spese diversamente, con interventi di supporto, che era poi l’obiettivo del Piano sanitario di salute mentale, pari al 5% del Fondo sanitario nazionale, destinato per l’appunto alla salute mentale. Oggi siamo largamente al di sotto di quel 10% cui, secondo l’Oms, dovrebbe ammontare la spesa globale tra sanità e sociale destinata alla salute mentale, soprattutto per prevenire la patologia prevalente, che è la depressione, con interventi concreti da fare, che chiederemo anche a governo e Conferenza delle regioni”, ha concluso l’esponente Cgil.