Nel secondo dopo guerra è Giuseppe Di Vittorio il primo a parlare esplicitamente della necessità di uno Statuto dei diritti dei cittadini lavoratori. “I lavoratori sono uomini e liberi cittadini della Repubblica Italiana anche nelle fabbriche, anche quando lavorano (…) - scrive l’11 ottobre 1952 su l’Unità il segretario generale della Cgil - Nell’interesse nostro, nell’interesse vostro dei padroni, nell’interesse della patria, rinunciate all’idea di rendere schiavi i lavoratori italiani, di ripristinare il fascismo nelle fabbriche (…) Io voglio proporre a questo Congresso una idea che avevo deciso di presentare al prossimo congresso della Cgil (…) facciamo lo statuto dei diritti dei lavoratori all’interno dell’azienda. Formulato in pochi articoli chiari e precisi, lo statuto può costituire norma generale per i lavoratori e per i padroni all’interno dell’azienda (…) ”.
“Abbiamo il dovere di difendere le libertà democratiche e i diritti sindacali che sono legati alla questione del pane e del lavoro - aggiunge nella sua relazione al Congresso della Cgil del 1952 - abbiamo il dovere di difendere i diritti democratici dei cittadini e dei lavoratori italiani, anche all’interno delle fabbriche. In realtà oggi i lavoratori cessano di essere cittadini della Repubblica italiana quando entrano nella fabbrica (…) Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa e vuole che questi suoi diritti vengano rispettati da tutti e in primo luogo dal padrone. È per questo che noi pensiamo che i lavoratori debbono condurre una grande lotta per rivendicare il diritto di essere considerati uomini nella fabbrica e perciò sottoponiamo al congresso un progetto di 'Statuto' che intendiamo proporre, non come testo definitivo, alle altre organizzazioni sindacali (perché questa esigenza l’ho sentita esprimere recentemente anche da dirigenti di altre organizzazioni sindacali), per poter discutere con esse ed elaborare un testo definitivo da presentare ai padroni e lottare per ottenerne l’accoglimento e il riconoscimento solenne”.
Nel giugno 1954 si tiene a Milano il convegno della Società Umanitaria sulle condizioni del lavoratore dell’impresa industriale. Vi partecipano sindacalisti della Cgil, della Cisl, della Uil, le Acli, giuristi, imprenditori, parlamentari. In quattro semplici articoli Giuseppe Di Vittorio presenta lo “Statuto dei diritti, delle libertà e della dignità dei lavoratori nell’azienda”, la prima proposta organica, anche a livello giuridico, seppure a livello embrionale, di quello che poi diverrà lo Statuto del 1970. L’anno successivo la legge n. 96/55 istituisce una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni dei lavoratori in Italia.
La Commissione conclude i lavori rivendicando una legislazione di applicazione dei diritti costituzionali nei luoghi di lavoro e la regolamentazione legislativa delle Commissioni interne. La Cgil organizza intanto a Milano una Conferenza per la difesa dei diritti sindacali e delle libertà democratiche e rilancia l’esigenza di un intervento legislativo per tutelare la libertà soggettiva di opinione politica dei lavoratori, riconoscere giuridicamente le commissioni interne e vietare i licenziamenti arbitrari.
Nel febbraio 1957 Di Vittorio propone in Parlamento il disegno di legge n. 2726 sulla regolamentazione del licenziamento individuale, prevedendone la nullità in caso di ingiustificato motivo.
GLI ANNI SESSANTA
Il 1960 sembra iniziare nel peggiore dei modi con il Governo Tambroni che provoca e reprime.
È il primo esecutivo nel dopoguerra a essere sostenuto dal centrodestra. È appoggiato dal Movimento sociale italiano che, forte di questo legame, prova a sfidare Genova, città medaglia d'oro della Resistenza. È anche l'esecutivo sotto il quale le forze dell'ordine reprimono nel sangue manifestazioni pacifiche di lavoratori e antifascisti in tutt'Italia: a Licata come a Reggio Emilia, a Palermo come a Catania
Proprio a partire dalle proteste popolari e antifasciste avviate a Genova nel mese di giugno 1960, però, il quadro generale dell’Italia cambia velocemente e gli equilibri politici conoscono un’evoluzione con la nascita dei governi di centro-sinistra. Nel dicembre del 1963 si ha la formazione del primo Governo presieduto da Aldo Moro. Nel discorso alle Camere, il presidente del Consiglio dichiara il proposito di definire, sentite le organizzazioni sindacali, uno Statuto dei diritti dei lavoratori al fine di garantire dignità, libertà e sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel febbraio 1964 la Segreteria della Cgil formalizza con una lettera a Pietro Nenni il proprio giudizio positivo sullo Statuto, ribadendo la richiesta che la legge garantisca i diritti costituzionali dei lavoratori, la giusta causa nei licenziamenti e il riconoscimento delle commissioni interne.
Intanto Gino Giugni, incaricato direttamente da Nenni di redarre con il giurista Tamburrano tre disegni di legge su Commissioni interne, giusta causa e diritti sindacali, inizia la sua collaborazione con il Governo ed entra a far parte della Commissione nominata dal ministro del lavoro Bosco per predisporre un progetto di legge sui licenziamenti, approvato dal Parlamento 15 luglio 1966 (la legge 604 sui licenziamenti prevederà la giusta causa e l’obbligo di un indennizzo monetario, non quello della riassunzione, in caso di licenziamento ingiustificato). Nel Programma di sviluppo economico per il quinquennio 1965/1970 (approvato con la legge 685 del 27 luglio) il governo ribadisce, al paragrafo 41, l’impegno per uno Statuto dei lavoratori. Pci e Psiup presentano alla Camera due proposte parallele, rispettivamente: l. n. 4227 (Ingrao e altri, Norme per la tutela della libertà e della dignità dei lavoratori e per l’esercizio dei diritti costituzionali all’interno dei luoghi di lavoro); l. n. 4228 (Valori e altri, Norme per la tutela della sicurezza, della libertà e della dignità dei lavoratori).
1968 - 1969
Probabilmente l’iter della legge avrebbe avuto un andamento molto più accidentato, se nel frattempo non fosse scoppiato nel Paese il Sessantotto. In questo contesto di straordinaria mobilitazione collettiva e di eccezionale fermento culturale, il dibattito sullo Statuto si accende. Il 2 dicembre 1968 ad Avola, in provincia di Siracusa, una manifestazione a sostegno della lotta dei braccianti per il rinnovo del contratto di lavoro finisce nel sangue: la polizia apre il fuoco e due lavoratori - Giuseppe Scibilia, di 47 anni, e Angelo Sigona, di 25 - vengono uccisi. Quarantotto saranno i feriti, due gravi.
Due vittime e decine feriti in una giornata in cui i lavoratori chiedevano solo il rinnovo del contratto e il diritto a un salario dignitoso e la polizia sparò per uccidere. Era il 2 dicembre 1968 quando in provincia di Siracusa una manifestazione per il lavoro finiva nel sangue
Nell’aprile del 1969 a Battipaglia giunge la notizia dell’imminente chiusura di due grosse aziende della città: la manifattura dei tabacchi e lo zuccherificio. Per il 9 aprile viene indetto un corteo di protesta: già dalle prime ore del giorno, alcune centinaia di persone si radunano e, scortati da polizia e carabinieri, cominciano a muoversi in corteo al grido di ‘Difendiamo il nostro pane’ e ‘Basta con le promesse’. Nel tardo pomeriggio si arriva allo scontro decisivo: il corteo incanala la propria rabbia contro il commissariato di via Gramsci, dentro cui si sono asserragliati un centinaio di poliziotti e carabinieri che iniziano a sparare sulla folla, uccidendo Teresa Ricciardi, giovane insegnante che seguiva gli scontri dalla finestra della propria abitazione, e lo studente diciannovenne Carmine Citro. Moltissimi i feriti.
Davanti al corteo di protesta contro la chiusura della manifattura tabacchi e dello zuccherificio, la polizia imbraccia i fucili e spara. Si contano due vittime, Teresa Ricciardi, giovane insegnante che seguiva gli scontri dalla finestra della propria abitazione, e lo studente diciannovenne Carmine Citro. Moltissimi saranno i feriti
Il ministro del Lavoro, Giacomo Brodolini, gravemente malato (morirà a breve), forza i tempi di approvazione della legge con una febbrile attività chiamando Gino Giugni a presiedere una Commissione con l’incarico di elaborare in tempi brevi la proposta da sottoporre alle organizzazioni sindacali.
L’ITER PARLAMENTARE
Intanto la Commissione lavoro del Senato prepara ed il Consiglio dei ministri approva il disegno di legge da presentare in Aula, integrando il testo base di Brodolini e Giugni, con molti articoli ripresi dai disegni legge del Pci e dello Psiup, rafforzando la parte relativa ai diritti individuali dei lavoratori. In particolare viene introdotto l’articolo 18 che sancisce la giusta causa nel licenziamento individuale, attribuisce all’imprenditore l’onere della prova di fronte al giudice, impone - per le aziende con più di quindici dipendenti - l’obbligo di reintegro nel caso di licenziamento giudicato illegittimo. Non passa, invece, il riconoscimento giuridico delle commissioni interne e, tanto meno, dei nuovi organismi di base (i consigli di fabbrica) che si stanno formando nelle lotte aziendali. L’11 dicembre il disegno di legge del Governo è approvato in prima lettura dal Senato. Votano a favore i partiti di centro-sinistra e i liberali, si astengono - con opposte motivazioni - Msi da una parte, Pci, Psiup e Sinistra Indipendente dall’altra.
A cinquant'anni dall'approvazione dello Statuto, l'ultimo segretario del Partito Comunista ricorda lotte e conquiste di quegli anni e ammette astenersi su quella legge fu uno sbaglio
Il giorno dopo, 12 dicembre, esplodono le bombe alla Banca dell’Agricoltura a Milano: è la strage di Piazza Fontana. Il 14 maggio 1970 la Camera dei deputati, con 217 voti favorevoli, 10 contrari e 125 astenuti, approva definitivamente la legge nel testo del Senato dopo che, su richiesta del nuovo ministro del Lavoro Donat Cattin tutti gli emendamenti (tranne quelli del Pli) sono stati ritirati. Il 20 maggio il testo è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.
Lo Statuto dei diritti è frutto della politica unitaria e delle lotte sindacali: lo strumento non poteva che essere una legge, ma la matrice che l’ha prodotta e la forza che l’ha voluta è rappresentata dal movimento dei lavoratori e dalla sua azione organizzata. Anche soltanto qualche anno fa, nelle condizioni di divisione che allora esistevano fra i sindacati e fra i lavoratori, lo Statuto non avrebbe potuto essere, perché la concorrenza fra le organizzazioni avrebbe persino impedito il convergere degli orientamenti sulla conquista di diritti nella fabbrica, diritti che per essere tali e pienamente goduti, devono valere allo stesso modo per tutti. Certo, anche lo Statuto dei diritti presenta dei limiti; ma esso è pur sempre un passo, un lungo passo avanti rispetto alle condizioni del passato e rende finalmente operanti principi che finora, forse già perfetti in linea teorica, non avevano però offerto al movimento sindacale una possibilità di reale godimento. Oggi possiamo partire, per andare ancora più avanti nella fabbrica e nella società, da questi nuovi punti più avanzati (L. Lama).