È la fabbrica più antica di Empoli con 170 anni d'età. Fondata dal francese Philippe Barrier pochi anni prima dell'Unità d'Italia, e avviata nel 1853 da un proprietario terriero, Giuseppe Rosselli, che decise di sfruttare il legno di pioppo, di cui erano piene le sue alberete, per produrre fiammiferi. Intere generazioni hanno acceso sigari e sigarette con i Minerva o gli Svedesi della Angiolo Rosselli o usato i suoi stuzzicadenti Kimono. Oggi, per la prima volta, la direzione annuncia i licenziamenti - nove, su un totale di 19 addetti -, più l'interruzione del rapporto per quattro lavoratrici a domicilio.

Nel corso del tempo, l'azienda ha incrementato la produzione grazie all'esperienza nella lavorazione del legno, con la realizzazione di stuzzicadenti, spiedi, accendini, cannucce di carta, biglietti da visita, mestoli, taglieri e palloncini gonfiabili.  Un vero e proprio patrimonio storico della città, che oggi rischia di andare perduto, se chiuderà uno dei due capannoni di cui è proprietaria la Rosselli.

Produzione all'estero

Si arriva oggi a questa situazione di crisi poiché la ditta ha deciso di esternalizzare l'attività di produzione di fiammiferi e stuzzicadenti (che avviene già in parte all'estero), proprio quella che l'ha resa famosa, che ha saputo imporsi e durare nel tempo, pur mantenendone solo in Italia la commercializzazione. A denunciarlo, è la Fillea Cgil di Firenze. ''Quella dell'azienda è una scelta sbagliata, grave e dalle conseguenze inaccettabili: chiediamo alla direzione aziendale di tornare sui propri passi, ci sono tante strade da battere, a partire dagli ammortizzatori sociali", dichiara il segretario generale degli edili Cgil di Firenze, Marco Carletti. 

Che aggiunge: "Siamo pronti alla mobilitazione e facciamo appello alle istituzioni, chiedendo al Comune d'intervenire in difesa del lavoro di un'azienda storica del territorio, che ha saputo imporsi e durare nel tempo proprio grazie alla produzione che ora intende esternalizzare. Inoltre, sollecitiamo la Regione Toscana ad approntare un tavolo di crisi sulla vertenza. Vanno trovate soluzioni che tutelino il lavoro e i lavoratori. Ci sono tante cose che si possono fare, a partire dagli ammortizzatori sociali'.

Le speranze dei lavoratori

L'annuncio dei licenziamenti ha sorpreso gli stessi dipendenti. Per circa vent'anni, Flavio Gabriel Caivano, delegato Rsu, ha oltrepassato la soglia dell'Angiolo Rosselli con quell'attaccamento di chi sa che lo stabilimento non è soltanto un luogo di lavoro, ma anche un po' 'casa'. Dal gennaio scorso (anche se la situazione, secondo il suo racconto, è precipitata a marzo) tutto è diventato più difficile, con una spada di Damocle che pende sulla testa dei lavoratori: "Una scelta dolorosa, ma ancora spero in una soluzione differente".

Caivano è uno dei nove dipendenti individuati fra gli esuberi dall'azienda: "La procedura di licenziamento collettivo è stata avviata a marzo e, da allora, non abbiamo più pace. Circa la metà di noi perderà il posto. È successo tutto all'improvviso, con l'azienda che ha detto no agli ammortizzatori sociali", ci dice.

Già a partire da questa settimana il sindacato incontrerà di nuovo la proprietà dell'azienda di via Partigiani d'Italia per discutere degli incentivi all'esodo. "Intervengano subito Comune e Regione, perché qui ci lasciano senza lavoro e senza Cig - sottolinea Carletti -. La preoccupazione più grande, infatti, è per quei dipendenti che non sono più ricollocabili sul mercato. Ci siamo sentiti dire che l'azienda ha sofferto la crisi: della pandemia prima e del caro energia dopo: ma, allora, quante aziende avrebbero dovuto chiudere in Italia, in Europa e nel mondo? Questa è una piaga che colpisce tutti, indistintamente. Ma la differenza la fa la volontà di riuscire a trovare soluzioni. Anche nelle situazioni più complesse".

Serve un accordo con la proprietà

"La causa della crisi improvvisa sarebbe dettata da un'importante perdita di fatturato. Ma le cifre che la Rosselli mette sul tavolo non sono accettabili per chi, come noi, ha dedicato la vita a questo lavoro. Io, che ho quasi cinquant'anni, sono uno dei più giovani nello stabilimento. Ma per gli altri colleghi che hanno più di 55 anni e hanno sempre lavorato da oltre trent'anni come operai generici è difficile trovare un altro impiego", aggiunge Caivano. 

La nostra speranza è quella di riuscire a trovare un accordo pacifico con la proprietà. Da quanto ne sappiamo, uno dei due stabilimenti del Terrafino sarà chiuso, mentre resterà attivo l'altro, ma più nella commercializzazione dei prodotti anziché nella loro produzione", rileva ancora Carletti. E se questa settimana lavoratori e azienda non troveranno un accordo, il prossimo passo sarà l'apertura di un tavolo di crisi in Regione.

"Dall'8 marzo, da quando è stata aperta la procedura di licenziamento collettivo, siamo andati al lavoro guidati dalla speranza. Contiamo sul fatto che le istituzioni, in cui crediamo molto, possano aiutarci nel riuscire a trovare una soluzione in questo momento in cui abbiamo perso il sonno e la tranquillità. Speriamo che qualcosa di positivo possa ancora accadere e che i licenziamenti, se proprio dovranno esserci, arrivino il più tardi possibile. Noi continuiamo a conservare una speranza per il futuro, anche se è difficile", conclude Caivano.