Nel Paese affondato sull’evasione fiscale e cintura nera di disuguaglianze, la soluzione del genio della Lampada di Palazzo Chigi è appiattire le tasse e rottamare il principio della progressività per buona pace della nostra Costituzione. Ce lo ha ripetuto con piglio roboante la Meloni durante il congresso della Cgil. La premier non sapeva che Chiara Ferragni fosse una metalmeccanica e noi che un operaio di Mirafiori e l’amministratore delegato della Fiat pagheranno la stessa aliquota. Ora, non ci vuole un Nobel dell’Economia, basterebbe una licenza elementare di buon senso per comprendere l’aberrante impatto di tale riforma fiscale sul bene collettivo. Sanità meno pubblica, istruzione di classe, trasporti a carbone. Per non parlare poi di quell’odiosa idea strisciante per cui le imposte sono punizioni di Stato, fastidiose come la sabbia nel costume, e che tanto c’è sempre un condono-salvagente all’orizzonte. Se solo potessimo tassare la fesseria, l’Italia farebbe impallidire il Lussemburgo.