A tasche vuote. È la sensazione che provano gli italiani in questi mesi. Con l’inflazione che corre, i salari fermi al palo e i costi delle bollette arrivati alle stelle, le lavoratrici e i lavoratori stanno pagando l’ennesima crisi globale. Quelli italiani in particolare, visto che negli ultimi trent’anni, dato Ocse, i loro stipendi sono calati del 2.9%, laddove in tutti i grandi paesi dell’Europa occidentale le retribuzioni sono aumentate, anche di decine di punti percentuali.

La situazione attuale rischia di avere esiti drammatici. La bomba sociale, con la corsa dei prezzi che ha toccato a ottobre l’11,9% e l’aumento del carrello della spesa del 12,7%, è già innescata. Urgono misure tampone, ma soprattutto soluzioni strutturali.

Come ribaltare o almeno frenare questo andamento? Tra gli strumenti più efficaci per restituire ossigeno a lavoratrici, lavoratori e alle loro famiglie c’è sicuramente quello della contrattazione nazionale. Tra le leve per orientare una politica dei salari che possa restituire un po’ di quel potere d’acquisto mangiato dall’inflazione, i tavoli nei quali trattare su diritti e aumenti a livello nazionale sono fondamentali e impattano direttamente sulla situazione, ma anche indirettamente, con un effetto traino. Con circa la metà degli addetti che aspetta il rinnovo del proprio contratto nazionale, proprio a quei tavoli potrebbe essere affidata, almeno in parte, la soluzione a un problema che rischia di lasciare molte famiglie in grande difficoltà e il Paese in una crisi dei consumi senza rimedio.   

I dati

“Considerando i 209 Contratti Nazionali firmati dai sindacati confederali e depositati al Cnel – ci ha spiegato Nicoletta Brachini, Area Contrattazione della Cgil nazionale – quelli siglati da categorie Cgil sono 191. Di questi, circa la metà, 96, risulta attualmente scaduta. Con riferimento ai dati Uniemens sugli addetti, quelli con contratto scaduto sono 5.574.342, gli altri, con un contratto non scaduto, sono circa 6.718.161”.

Tra quelli scaduti – prosegue l’analisi di Nicoletta Brachini – i contratti rivolti a una platea piuttosto ampia di lavoratori afferiscono al settore terziario, distribuzione e servizi. “In particolare attendono il rinnovo il contratto del turismo (aziende Confcommercio), scaduto il 31/08/2016, rivolto a circa 471mila persone. Quello degli Studi professionali, scaduto il 31 marzo 2018 e rivolto a oltre 300mila addetti. Il contratto Terziario, Distribuzione e Servizi (con Confesercenti), scaduto alla fine del 2017 e rivolto a oltre 60mila persone. Il contratto della Distribuzione Moderna Organizzata, scaduto alla fine del 2019 e rivolto a quasi 180mila persone. Il contratto del Commercio e dei Servizi (con Confcommercio), anche questo scaduto alla fine del 2019, che interessa quasi 2 milioni e 240mila addetti”.

“Oltre a questi – continua Nicoletta Brachini – vanno citati anche il contratto Agenzie di Somministrazione di Lavoro (con Assolavoro), scaduto a giugno 2022 e che riguarda circa 375mila lavoratori (firmato da Nidil), e quelli della Funzione pubblica Istituzioni e Servizi socio-assistenziali (Uneba), scaduto nel 2019 e rivolto a una platea di 142 mila addetti, e il contratto della Sanità, Personale non medico area privata, scaduto nel 2018, che interessa 150mila addetti.

Alla fine di quest’anno scadranno 32 contratti, tra cui molti del comparto artigiano (che ha allineato la data di scadenza) e alcuni del comparto industriale (come Gomma e Plastica o Legno e Arredo, per esempio), oltre al contratto dei bancari che conta quasi 306 mila addetti”.

Il fisco contro l’inflazione

Contro la corsa dell’inflazione quella della contrattazione nazionale è sicuramente una leva importante da agire, ma non è l’unica. Tra gli strumenti che molto potrebbero, ci spiega la segretaria confederale della Cgil, Francesca Re David, c’è quello del fisco. “Il rinnovo dei contratti è un elemento fondamentale perché stabilisce il salario e i diritti da riconoscere all’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori – ci ha detto la dirigente nazionale di Corso Italia –. In assenza di contratti nazionali, i gruppi più forti ottengono risultati attraverso la contrattazione di secondo livello e quindi aumenta la disparità tra i lavoratori. Ovvio che in una fase di alta inflazione come questa, inedita rispetto al quadro degli ultimi decenni, la questione salariale resta fortissima e non si risolve solo con i contratti nazionali. Pesa tantissimo il fisco – ha ricordato Francesca Re David –. Per agire sui salari e contenere gli effetti dell’inflazione la politica dovrebbe agire sul fiscal drag, un elemento che non viene affrontato da decenni. Non esiste alcun provvedimento del governo che punti a rivedere gli scaglioni e in genere non c’è niente di concreto su manovre fiscali, decreto aiuti e legge di bilancio”.

Scendendo nel dettaglio, la segretaria nazionale della Cgil ricorda con soddisfazione che nell’industria tutti i contratti che interessano un numero consistente di addetti sono stati rinnovati. “Il vero grande buco si apre sul terziario, il commercio e ancora prima il turismo. In questi settori non c’è volontà da parte delle controparti di rinnovare i contratti”.

Entrando poi nel merito delle questioni, per Francesca Re David c’è sicuramente da ridiscutere quell’indice Ipca depurato dai costi energetici, “adesso che l’energia ha fatto questo balzo in avanti. Per questo gli aumenti definiti nelle piattaforme vanno molto oltre l’Ipca”.