La strada sembra essere quella della privatizzazione dell’apparato militare statale. Una strada avversata dai sindacati, che hanno proclamato lo stato di agitazione nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori civili della Difesa, denunciando “lo stato di devastazione delle aree operativa e industriale, ovvero dell'intero sistema di supporto civile qualificato alle forze armate”.

L’attuale situazione, spiegano Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa, è il “frutto di una gestione del ministero della Difesa, negli ultimi dieci anni, che riconduce a una precisa volontà di abbandono del perimetro pubblico per intraprendere la strada della privatizzazione dell'apparato militare”. In una lettera inviata al ministro Lorenzo Guerini, le tre categorie lamentano anzitutto “il costante e significativo detrimento dei livelli occupazionali, tecnici e amministrativi del personale civile delle aree funzionali del ministero della Difesa”.

Occorrono soluzioni concrete: serve pianificare subito “un piano straordinario di assunzioni di almeno 9 mila unità, composto di professioni tecniche e amministrative, da consegnare alla prossima discussione sulla legge di bilancio 2023, per evitare che i poli e gli stabilimenti militari industriali chiudano presto i battenti a esclusivo beneficio dell'industria e impresa privata, a danno delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici”.

Il cahier de doléances è purtroppo molto corposo: si va dalla “sottrazione di 21 milioni di euro dal fondo di produttività al mancato ricorso al lavoro agile”, dai problemi legati ai “processi di mobilità del personale civile alla mancata estensione dell'assicurazione infortuni e malattia, gratuita ai militari, oltre alla discriminazione sugli altri istituti di protezione sociale”. Tutte questioni, concludono Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa, che denotano “il basso livello di relazioni sindacali intrattenuto dai vertici delle forze armate, una condizione che produce gravi danni di relazione tra le parti anche sui territori e nei posti di lavoro”.