Marco Togna

Cassa integrazione e fuga delle multinazionali, guerra e pandemia: sono centinaia di migliaia i posti di lavoro a rischio in Italia. Aziende e settori, ecco il quadro del Paese. Spera, Cgil: "La politica è assente, è rimasto solo il mercato"

Tirare giù un numero è impossibile. Ma l’ordine di grandezza, sì: centinaia di migliaia. Sono i lavoratori attualmente in cassa integrazione o che vedono a rischio il proprio impiego. Per i motivi più diversi: Covid e invasione russa dell’Ucraina, alti costi dell’energia e mancanza di materie prime, scarsa liquidità finanziaria e delocalizzazioni.

“Il nostro tessuto industriale era già debole prima della pandemia e della guerra, questi eventi hanno ulteriormente aggravato la situazione”, spiega Silvia Spera, responsabile di crisi aziendali, di settore e aree di crisi industriali complesse per la Cgil nazionale: “Una situazione che rende ancora più urgente la necessità di un’autonomia produttiva del nostro Paese. Ma per realizzarla servirebbe la ‘politica’, ed è proprio ciò che manca in questo momento”.

Le crisi imprenditoriali, come noto, afferiscono al ministero dello Sviluppo economico. Non tutte in realtà: il Mise ha infatti posto il limite dei 250 dipendenti, sotto quella soglia le difficoltà delle singole aziende vengono affrontate a livello territoriale o regionale. Ma sopra la soglia dei 250, appunto, viene coinvolto il governo.

“Il ministero si è dotato di una struttura tecnica, che appunto fornisce risposte ‘tecniche’ alle varie crisi”, prosegue Spera: “Ma deve essere la politica a individuare i settori strategici per l’Italia, a direzionare gli investimenti, a definire un progetto di sviluppo. Ma in questo ‘governo dei migliori’ la politica non c’è: c’è solo il mercato”.

Se manca la politica, è il mercato a scegliere. E l’esecutivo sembra aver abdicato al proprio ruolo. “L’unica pratica che mette in campo – riprende la dirigente Cgil – è quella ‘dei bandi’: stanzia 100 milioni per un’iniziativa, e a chi si presenta distribuisce un po’ di soldi. Senza un’idea imprenditoriale, senza controlli. Con il risultato che le ricadute, almeno in termini di posti di lavoro, sono davvero minime”.

Ma a mancare non è solo la politica. “Nei tavoli di crisi registriamo l’assenza anche delle imprese”, aggiunge Spera: “Confindustria non mette in campo una visione strategica adeguata alla fase che stiamo attraversando, ma si limita alla mera difesa dell’azienda che chiude, senza avere una visione industriale complessiva”.

Che fare, allora? La Cgil, conclude Silvia Spera, da tempo chiede la creazione di “un’agenzia nazionale di sviluppo, che coordini le competenze dei vari ministeri e diventi il luogo ‘politico’ dove affrontare crisi industriali e difficoltà di settore”. In questi due anni di pandemia “abbiamo gestito chiusure e dismissioni del nostro apparato produttivo. Adesso serve  un’idea del Paese, anche a fronte degli importanti investimenti assicurati dal Pnrr”.
 

Automotive

In Italia il settore dell’auto ha subìto un pesante ridimensionamento, passando da oltre due milioni di veicoli prodotti alla fine degli anni Ottanta a neanche 500 mila nel 2021, con effetti devastanti su occupazione e salari. Da registrare anche il boom delle ore di cassa integrazione: erano 26 milioni nel 2019, hanno toccato quota 67 milioni nel 2021. Le speranze sono ora concentrate sul “tavolo nazionale” del settore in corso al Mise, che dovrà servire – così auspicano i sindacati – a far partire un piano straordinario per la transizione ecologica che garantisca lavoro e futuro della mobilità nel nostro Paese.

Gkn. Firenze mai doma

Notissima è la vicenda della Qf (ex Gkn Driveline, 370 lavoratori) di Firenze: a metà gennaio è stato firmato al Mise un accordo-quadro per la reindustrializzazione mediante nuovi investitori e la continuità occupazionale del personale (ora in cassa integrazione), il closing dell’operazione è previsto per agosto. Alla Alcar Industrie (380 dipendenti) di Lecce e Torino, società segnata da fallimento e concordato preventivo, in febbraio è stato raggiunto un accordo per la riassunzione del 50 per cento della forza lavoro, mentre il restante 50 è coperto dalla cassa integrazione per tutto il 2022.

Situazione fluida per il gruppo Blutec (1.100 addetti), in amministrazione straordinaria e con ampio utilizzo di ammortizzatori sociali e prepensionamenti. I diversi asset sono stati posti in vendita, ma solo per un paio di rami aziendali si individuano soluzioni positive, mentre per gli altri non arrivano offerte o l’eventuale riassorbimento dei lavoratori non corrisponde alle aspettative.

Alle prese con una complessa transizione industriale ed energetica sono la Vitesco Technologies (750 addetti) di Pisa e la Bosch (1.700 lavoratori) di Bari, dove vengono usati ammortizzatori sociali e contratti di solidarietà; per lo stabilimento pugliese, inoltre, sono ancora in campo i 700 esuberi (spalmati su più annualità) annunciati mesi fa dalla multinazionale.

Percorsi di reindustrializzazione sono stati individuati per la Timken (105 addetti) di Brescia (intesa siglata nel febbraio scorso con il gruppo Camozzi), la Speedline (605) di Venezia (intesa ai primi di giugno per la ricerca di nuovi investitori) e la Caterpillar (190) di Ancona (“accordo di massima” raggiunto con la Imr Industriale Sud). Vanno ricordate, infine, le chiusure, con conseguente licenziamento collettivo, della Bekaert (320 addetti) di Firenze e della Gianetti Fad Wheels (330) di Monza.

Sullo sfondo, se così possiamo dire, rimane la grande questione di Stellantis (65 mila addetti). Il gruppo è impegnato in un difficile passaggio alla mobilità elettrica che interessa gran parte degli stabilimenti italiani, una transizione fatta a colpi di efficientamenti e riorganizzazioni, con un ampio utilizzo di ammortizzatori sociali e uscite con esodo incentivato.
 

Siderurgia

La produzione di acciaio è il comparto produttivo che registra le maggiori fibrillazioni, con un mercato contrassegnato da fusioni e acquisizioni. Un settore strategico per il Paese (siamo il secondo produttore europeo), che però vede acuirsi difficoltà e dipendenze preesistenti al conflitto russo-ucraino in termini sia di approvvigionamento di materie prime sia di elevati costi energetici. Da rimarcare è anche la sostanziale inazione degli ultimi governi: il “piano nazionale per l’acciaio” di cui si parla da anni è ancora in via di definizione

Ast. Terni resiste

In gennaio la Acciai Speciali Terni (2.350 dipendenti) è passata da ThyssenKrupp al gruppo italiano Arvedi, ora si attendono approfondimenti e sviluppo del piano industriale presentato sommariamente ad aprile. A Trieste la Ferriera di Servola (365), dopo la chiusura dell’area a caldo e l’avvio della cassa integrazione, vede in atto un “accordo di sviluppo” per la riconversione produttiva, che si dovrebbe concludere nel 2023. Si è conclusa in aprile a Venezia l’acquisizione del ramo d’azienda della Slim Fusina Rolling (250) da parte della newco pubblico-privata Niche Fusina, anche in questo caso si attendono notizie su investimenti e occupazione.

Lunghissima è la vicenda dell’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia (10.600 addetti). Il piano industriale della nuova proprietà pubblico-privata, che prevede la completa decarbonizzazione di Taranto e il totale passaggio all’idrogeno entro dieci anni, è stato accennato per linee generali. Il piano contempla anche l’impegno a far tornare tutti i dipendenti al lavoro entro tre anni: attualmente, però, sono circa 3 mila i lavoratori in cassa integrazione e 1.700 quelli in cigs di Ilva in amministrazione straordinaria.

Controllato dall’ex Ilva è il gruppo Sanac (400 lavoratori), ora in amministrazione straordinaria: segnata da cassa integrazione, crollo del fatturato, crediti ancora non riscossi e mancata acquisizione da parte di Acciaierie d’Italia (che ha disertato il recente bando d’acquisto dell’azienda), la società naviga nella più totale incertezza.

Sotto attento monitoraggio del ministero è la Jsw Steel Italy di Livorno (1.650 unità): è in corso una rinegoziazione sull’addendum dell’accordo di programma in vigore, la cui sottoscrizione “potrà avvenire – scrive il Mise a fine maggio – al solo termine di un confronto complessivo che comprenda gli investimenti programmati e preveda una prospettiva per i lavoratori”.
 

Elettrodomestici

Sono anni difficili per il settore “del bianco”, alle prese sia con la notevole pressione competitiva da parte di produttori extra-Ue sia con l’atteggiamento predatorio delle multinazionali, che portano via dall’Italia (Paese storicamente leader in questo comparto) tecnologie e competenze. A questo si aggiungono i recenti notevoli problemi sulla catena dell’approvvigionamento, nonché le pesanti difficoltà logistiche, di costo e di reperimento di materie prime e componenti.

Whirlpool. Napoli non molla

Di grande impatto mediatico è stata la vicenda dello stabilimento Whirlpool di Napoli (320 addetti). Dopo la chiusura da parte della società statunitense, ora in campo c’è un Consorzio per la reindustrializzazione del sito, composto da aziende italiane e straniere (Adler, Envision, Garnet Services, Midsummer) attive nel settore della mobilità sostenibile, che dovrebbe avviare nuove produzioni e riassorbire l’ex personale.

In cassa integrazione sono i 252 lavoratori della Acc-Wanbao di Belluno, attualmente in amministrazione straordinaria. L’azienda è al centro di un progetto di riconversione industriale da parte del gruppo italiano Lu-Ve, che dovrebbe riassumere circa il 70 per cento della forza lavoro.

Sotto monitoraggio ministeriale è la Elica (560 dipendenti) di Ancona, dove nel dicembre 2021 è stato siglato un accordo di rilancio produttivo che dovrebbe superare il piano industriale del marzo 2020 che prevedeva delocalizzazioni e 400 esuberi. Da ricordare, infine, è la lunghissima vicenda della ex Embraco (375 unità) di Torino, che dopo anni di promesse, progetti di reindustrializzazione mai realizzati e passaggi di proprietà (da Whirlpool all’israeliana Ventures), a fine 2021 ha definitivamente chiuso.
 

Aerospazio

In Italia il settore rappresenta, con le principali aziende che lavorano per i grandi player mondiali e le centinaia di piccole e medie aziende dell'indotto, il primo per numero di addetti e fatturato all’interno delle imprese associate a Federmeccanica. Ma la pandemia ha inciso profondamente, in particolare nel comparto aereo civile, provocando una crisi che sta assumendo carattere strutturale. L’obiettivo dovrebbe essere quello di evitare che la nostra industria venga ridotta a mera contoterzista dei player internazionali, ma l’attenzione del governo alle sorti del settore per ora sembra latitare.

Situazione in evoluzione in Leonardo (3.500 dipendenti): la società sta mettendo in atto una robusta riorganizzazione del comparto elettronica per la difesa, che prevede la chiusura di alcuni siti produttivi (Roma, Napoli, L’Aquila, Taranto e Genova, con notevoli riflessi negativi sull’indotto) e il conseguente trasferimento di attività e personale, oltre che un ampio utilizzo di ammortizzatori sociali.

Tutto da definire è il futuro del gruppo Piaggio Aerospace (960 dipendenti), attualmente in amministrazione straordinaria: l’azienda è stata posta in vendita, si avvicina il termine ultimo per la presentazione delle offerte vincolanti sull'acquisto dei due asset aziendali (Piaggio Aero Industries e Piaggio Aviation, commissariate dal 2018).

Sotto costante monitoraggio ministeriale sono anche la situazione sia dello stabilimento di Brindisi del gruppo Dema (670 dipendenti) sia della Sicamb (310 lavoratori), quest’ultima oggetto di un rilancio mediante l’ingresso nel capitale sociale del Fondo salvaguardia gestito da Invitalia.
 

Telecomunicazioni e information technology

A rischio sono la Prysmian (300 lavoratori) di Salerno e la Flextronics Manifacturing (570 addetti) di Trieste: la prima, attiva nella fibra ottica, è sottoposta alla forte concorrenza cinese; la seconda, impegnata in una difficile riorganizzazione delle produzioni, ha avviato i contratti di solidarietà e non esclude riduzioni di personale.

In cassa integrazione a zero ore fino a luglio sono 97 dipendenti della Softlab Tech di Caserta e Napoli (300 addetti in Campania, 1.120 in Italia), per i quali ancora si attendono nuove prospettive. A Caserta è operativo un accordo per la Jabil Circuit Italia (460 unità): previsti la ricollocazione di 222 addetti in Tme Assembly Engineering (newco pubblico-privata), proroga della cassa integrazione e incentivi all’esodo. Sempre alle prese, infine, con accordi di ristrutturazione, ammortizzatori sociali e uscite volontarie, sono i giganti Tim (42.300 dipendenti) e Italtel (1.000); riguardo quest'ultima, è notizia recente la richiesta di ulteriori otto mesi di ammortizzatori sociali finalizzati a definire il nuovo piano industriale e di un ulteriore aumento degli esuberi a 200 (dai 150 previsti dal piano concordatario).
 

Chimica, energia, gomma e petrolchimica

Iniziamo dalla Treofan (110 addetti) di Terni: l’azienda (di proprietà dell’indiana Jindal) è in liquidazione, i lavoratori sono in cassa integrazione. Finora vi sono state due manifestazioni d'interesse per l’acquisto e la reindustrializzazione del sito, tuttora allo studio del Mise, ma la situazione è molto incerta. Da segnalare anche il caso dello stabilimento Abb di Vicenza (100 addetti), messo in vendita dalla multinazionale svizzero-svedese.

Forte apprensione si vive nel comparto petrolchimico. L’Eni Versalis (360 dipendenti) di Porto Marghera a metà maggio ha avviato la chiusura degli impianti di cracking e aromatici (in campo c’è un piano di riconversione per il polo chimico veneto), ma ancora indeterminati sono gli esiti dell’effetto domino sugli impianti di Ferrara, Mantova e Ravenna.

Grandissima attenzione viene riservata all’impianto Isab-Lukoil (3.500 lavoratori, più altrettanti dell’indotto) di Siracusa, dove si raffina il 20 per cento del petrolio in Italia. La società è una “scatola” svizzera con capitale russo, e in questo momento non ha accesso al credito a causa delle sanzioni economiche alla Russia. Va aggiunto il recente sequestro del depuratore industriale di Priolo, che potrebbe provocare il blocco delle produzioni.

Pandemia, mancanza di componenti e crisi di liquidità sono le cause delle difficoltà della Fimer (610 addetti) di Arezzo, attiva nel settore dell’energia solare. Attualmente la società (nata da una cessione di ramo d’azienda dalla multinazionale Abb) è in concordato in bianco e sta cercando nuovi investitori: finora sono arrivate due manifestazioni d’interesse, ma ancora nessuna offerta vincolante.
 

Sistema moda e industria alimentare

Luci e ombre per il tessile-abbigliamento. Due marchi storici come la comasca Canepa (264 dipendenti) e la mantovana Corneliani (320) sono in una fase di rilancio dopo l’innesto di risorse pubbliche (Fondo di salvaguardia gestito da Invitalia) e fondi privati (Muzinich & Co per la prima; Investcorp per la seconda).

In cassa integrazione (o interessati da piani di esodi incentivati) sono attualmente i 100 lavoratori della Tessitura Albini di Taranto, i 318 del gruppo Forall Confezioni/Pal Zileri di Vicenza, gli 82 della Manifattura Riese di Modena: tutte aziende dal futuro incerto. Chiusure di reparti alla Roman Style Brioni (1.150 addetti): il nuovo piano industriale ha previsto 321 esuberi nei tre stabilimenti di Pescara, di cui 209 realizzati mediante percorsi di uscita volontaria con incentivo all’esodo.

Il settore agroalimentare sta attraverso un periodo di tenuta produttiva e finanziaria. Ma anche qui non mancano due segnalazioni: la Pernigotti di Alessandria, con i 55 dipendenti in cassa integrazione e il futuro del tutto incerto; il gruppo Nuova Castelli, che ha annunciato nel nuovo piano industriale la chiusura dei due (su 13) impianti di Pistoia e Reggio Calabria, per complessivi 150 posti di lavoro.
 

Gli altri settori

Cessioni, chiusure di negozi e contratti di solidarietà per i 550 dipendenti del gruppo Grancasa (grande distribuzione dell’arredamento), mentre è sotto monitoraggio al Mise la situazione dell’azienda elettromeccanica dell’Aquila Lfoundry (1.400 addetti), che proprio di recente ha siglato il primo contratto di espansione (30 prepensionamenti, 13 assunzioni).

Sotto monitoraggio ministeriale sono anche la Natuzzi (2.180 lavoratori) di Taranto, interessata da un “accordo di programma” per il rilancio del gruppo di arredamento che prevede anche 414 esuberi, e la Porto Industriale Cagliari (210 dipendenti), in liquidazione volontaria. Alla fine di aprile è stato firmato un accordo per la gestione di 130 esuberi alla Pfizer di Catania, con la previsione di esodi incentivati e prepensionamenti.

Tutto da definire è il futuro del call center Abramo Costumer Care (3.500 lavoratori), da fine gennaio in amministrazione straordinaria: ai primi di giugno i commissari hanno presentato un piano di risanamento aziendale, ora si attende l’individuazione degli acquirenti e la concessione della cassa integrazione per l’intera durata dell’attività commissariale.

Sembra risolta la situazione della Ideal Standard di Belluno: l’azienda di ceramica è stata ceduta a fine maggio a una cordata d'imprenditori veneti, “garantendo così un futuro – si legge sul comunicato del Mise – a tutti i 450 lavoratori dello stabilimento”. In febbraio è stato sottoscritto l’accordo per l’acquisizione della Saga Coffee (150 addetti) di Bologna da parte della newco Gaggio Tech (partecipata dalle aziende Tecnostamp e Minifaber): gran parte del personale sarà riassorbito, per il restante si prevedono cassa integrazione e incentivi all’esodo.

Siglata in gennaio un’intesa per la riorganizzazione della rete Carrefour (14 mila dipendenti): i 719 esuberi concordati saranno gestiti con il criterio della non opposizione a fronte di un incentivo all’esodo. Infine, è ancora in attesa di una soluzione la vicenda dei 2.700 navigator: i contratti sono stati prorogati fino a settembre, l’obiettivo è accompagnare i lavoratori nei percorsi concorsuali dei Centri per l’impiego delle diverse Regioni.