Il metodo: sbagliata la strada della legge delega

Si riapre il dibattito sulle forme di partecipazione alle scelte delle imprese e alla gestione dei servizi. Depositati in Parlamento vari progetti di legge. Le proposte del sindacato e il racconto delle esperienze che si sono realizzate finora in Italia. Ducati, Hera, Lamborghini, servizi pubblici locali. Scacchetti (Cgil): “L’Italia deve cercare una sua strada originale, che non passi per l’azionariato dei dipendenti”
Le relazioni industriali sono in grande trasformazione in tutto il mondo e la crisi del modello tradizionale fordista fa tornare d’attualità il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e delle società che forniscono servizi di pubblica utilità. Ma dietro la parola “partecipazione” si nascondono schemi ed esperienze molto diverse, che vanno dai modelli di “cogestione” alla tedesca, alle formule più diffuse nei paesi anglosassoni che prevedono un coinvolgimento dei dipendenti anche dal punto di vista dell’azionariato, ovvero quella formula del dipendente-azionista che durante le crisi finanziarie degli ultimi anni ha mostrato tutti i suoi lati più pericolosi (per i lavoratori).
“Finora le esperienze di partecipazione si sono limitate alla bilateralità tra imprese e sindacati. E’ matura l’introduzione di una forma di partecipazione attiva dei lavoratori alle scelte strategiche delle aziende. Possiamo oggi attuare il dettato costituzionale”.
Scegliere un modello che si adatti all’Italia
“La strada che porta alla costruzione di un sistema di relazioni industriali più forte e che veda la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori alle decisioni delle imprese come uno degli elementi del suo rilancio, finora, si è rivelata complessa e carica di ostacoli”. Lo leggiamo nel testo della memoria depositata in Parlamento dalla Cgil nell’ambito delle audizioni delle parti sociali sulle proposte di legge. Le esperienze concrete che si sono realizzate finora sono ancora troppo poche. (Vi proporremo qui di seguito alcune testimonianze). Ma è chiara – secondo la Cgil – l’importanza del tema e della necessità di rilanciarlo in un momento di grandi sfide: la transizione energetica, quella ecologica, quella digitale. Le scelte relative all’utilizzo delle risorse del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, saranno “l’occasione per una grande stagione di innovazione produttiva e organizzativa di diversi settori che non possono non vedere un protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori”.
«Non ci piace il lavoratore-azionista»
Per la Cgil risulta molto critica la modalità con la quale viene affrontato il tema della distribuzione degli utili a cui viene legato il tema della partecipazione azionaria. Siamo convinti che la maggiore partecipazione dei lavoratori non passi attraverso la facoltà di voto nell’ambito dell’assemblea dei soci.
“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Nella memoria Cgil presentata in Parlamento viene rilanciata la proposta di una Carta dei diritti. “La nostra Organizzazione, ormai nel lontano 2016, ha avviato una grande discussione su una proposta di legge popolare chiamata Carta dei diritti universali del lavoro, una legge che innovasse il diritto del lavoro a partire dall’estensione di diritti e tutele a tutte le lavoratrici ed i lavoratori e che, al contempo, si ponesse l’obiettivo di dare gambe sia all’articolo 46 che agli articoli 36 e 39 della Carta costituzionale. Il testo in questione è stato depositato alle Camere, ma ancora non è mai stato discusso. All’articolo 39 del suddetto testo abbiamo esplicitato la nostra proposta di declinazione dell’applicazione dell’articolo 46 della Costituzione alla quale, a nostro avviso, potrebbe essere utile ispirarsi nel tentativo di arrivare ad un testo unico sull’argomento”.
Il metodo: sbagliata la strada della legge delega
La Cgil, analizzando i singoli progetti di legge che sono stati depositati in Parlamento, ammette che “i principi generali sulla partecipazione e il coinvolgimento dei lavoratori di cui si parla in alcuni dei testi presentati possono essere condivisibili ed in parte rispondono anche alle rivendicazioni sindacali: risulta però assai problematica la via della delega in quanto potrebbe prestarsi alla stesura di decreti attuativi non rispondenti all’obiettivo di costruire un sistema di relazioni industriali più forte”. La proposta della Cgil è quindi quella di “affrontare il percorso di definizione di una sede di confronto finalizzata al controllo delle decisioni delle imprese attraverso una legge ordinaria che compiutamente affronti le diverse tematiche legate alla partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori: oltre alle materie oggetto di confronto, all’individuazione delle sedi, è necessario trovare il corretto equilibrio tra la legge e la contrattazione alla quale opportunamente demandare alcune delle questioni che vengono affrontate nelle proposte; come inevitabile riteniamo debba essere il legame tra nuove relazioni industriali e la certificazione della rappresentatività”.
INDICE
1. PROPOSTE | 2. ESPERIENZE | 3. SVILUPPI
Il fenomeno della partecipazione dei lavoratori alle scelte strategiche delle aziende è ancora poco diffuso in Italia. In ogni caso le esperienze realizzate finora sono state tutte il frutto della contrattazione.
Ducati: due ruote di partecipazione
La nuova esperienza di gestione delle relazioni industriali alla Ducati compie proprio quest’anno i suoi primi dieci anni. Il bilancio risulta positivo sia dal punto di vista del sindacato, sia da quello del management. L’azienda ha capito che ascoltare i giudizi dei lavoratori addetti alla produzione dei motori e delle moto è utile non solo per assicurare una corretta conduzione delle relazioni industriali, ma anche per recepire idee direttamente dai produttori. L’azienda: “Abbiamo recepito dai lavoratori metodi e idee che ci migliorano il prodotto finale”.
Per garantire che almeno nelle aziende più grandi sia prevista una partecipazione dei lavoratori negli organismi di controllo si ritiene utile una possibile modifica del codice civile o comunque una norma che possa prevedere la partecipazione di lavoratori alle riunioni degli organi di controllo. Si valuti, in quest’ottica, anche la possibilità di prevedere degli step differenti sulla base della diversità non solo dimensionale del sistema imprenditoriale italiano, ma anche della diversità settoriale: nei settori dei servizi gestiti da imprese a controllo pubblico per esempio potrebbe essere più immediata la costruzione di un sistema avanzato anche in funzione degli ambiti di intervento. L’individuazione dei lavoratori coinvolti in questi organi non può che essere di natura elettiva o comunque affidata alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sempre attraverso criteri elettivi. Questo naturalmente richiederebbe una legislazione che consenta anche la certificazione della rappresentatività delle stesse.
Lamborghini: la fabbrica dei sogni
Servizi pubblici e dintorni. Parla Federico Bozzanca
Un altro importante settore dell’economia e della società che sembra molto fertile per lo sviluppo di esperienze di partecipazione riguarda i servizi pubblici locali. Ne è convinto Federico Bozzanca, responsabile dei settori pubblici locali della Cgil ed esperto di sistemi organizzativi dei servizi al cittadino. Il Pnrr, il Piano di ripresa e resilienza con le notevoli risorse che mette a disposizione, può essere una grande occasione per permettere un salto in avanti nelle esperienze di partecipazione dei lavoratori. “Ma ciò che rischia di mancare nell’attuazione del piano è proprio il protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori – spiega Bozzanca - Qualora si recuperasse un ruolo nella fase di programmazione e monitoraggio dei progetti, rischieremmo di non giocare un altrettanto protagonismo nei processi decisionali del sistema delle imprese. Sistema che, a fronte di ingenti investimenti, potrebbe facilmente mutare, rafforzarsi, riorganizzarsi. Questo spazio di decisione può essere gestito in assenza di un coinvolgimento delle persone che lavorano in queste aziende? Questa occasione può essere letta come una grande opportunità per lo sviluppo della democrazia industriale”.
I nuovi strumenti della partecipazione nei settori strategici riguardano i consigli di sorveglianza con funzioni di consultazione rafforzate
Le esperienze in giro per il mondo sono tante e sui settori di cui si parla anche molto innovative, dice ancora Bozzanca. La specificità di settori che operano nell’ambito dei servizi ai cittadini, per quanto di interesse economico generale, è stata colta in alcune realtà come l’opportunità di allargare determinate forme di partecipazione sia alle rappresentanze dei lavoratori, sia al mondo dell’associazionismo civico. I luoghi in cui è stata concretizzata questa partecipazione sono dei consigli di sorveglianza con funzioni consultive rafforzate rispetto al sistema di informazioni tradizionalmente regolamentato nell’ambito del sistema di relazioni sindacali.
Il gruppo Acea
Nel gruppo si applicano contratti unici sia nel settore elettrico, sia in quello gas-acqua basati sulla centralità della bilateralità e della partecipazione. Molto valorizzati nei contratti i diritti di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori. Nel Protocollo del 2019 è stata istituita una Unità Relazioni Industriali della Holding con il compito di presidiare le politiche aziendali in materia di relazioni sindacali e definisce alcuni ambiti di confronto per ciascun livello su tutte le tematiche inerenti a lavoro, ambiente e welfare. Nello stesso gruppo sono presenti Commissioni Bilaterali composte da rappresentanti dell’azienda e dei lavoratori che si esprimono sui principali accordi raggiunti.
Il gruppo Iren
Nel gruppo Iren, società per azioni italiana, operante nel settore dei servizi di pubblica utilità (produzione e distribuzione di energia elettrica) il modello partecipativo è previsto da un Protocollo Relazioni Industriali del novembre 2017, siglato per i sindacati dalla Filctem Cgil e dalla Funzione Pubblica Cgil. Vi si stabilisce un sistema contrattuale articolato per livelli sulla base di informazione preventiva e consuntiva. Viene costituito un Comitato Relazione Industriali per approfondire le linee guida di politica industriale, le dinamiche organizzative e occupazionali, la gestione delle competenze e le pari opportunità. Sono previste anche procedure di raffreddamento del conflitto e di conciliazione.
Il gruppo Hera
L’esperienza partecipativa del gruppo Hera, azienda multiservizi italiana, con sede a Bologna e operante in 265 comuni della Città metropolitana di Bologna, delle province di Ferrara, Forlì-Cesena, Modena, Padova, Pesaro-Urbino, Ravenna, Rimini, è cominciata con il Protocollo Relazioni Industriali del luglio 2015. Su proposta della Cgil (Funzione pubblica e Filctem) è stato istituito un “Consiglio di Consultazione”, composto da 6 membri, con la finalità prioritaria di garantire la partecipazione e il coinvolgimento dei lavoratori alla gestione aziendale. Esprime pareri obbligatorio, ma non vincolanti su diverse materie che vanno dall’approvazione del Bilancio, alle modifiche di budget, piani industriali e pluriennali, ristrutturazioni e riconversioni, eventuali processi di fusione, incorporazione, trasferimento di azienda o di ramo di azienda.
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1. PROPOSTE | 2. ESPERIENZE | 3. SVILUPPI
Per Salvo Leonardi, ricercatore della Fondazione Di Vittorio ed esperto di relazioni industriali comparate, quando si parla di “partecipazione”, si devono prima di tutto chiarire gli ambiti del discorso e soprattutto le implicazioni dell’applicazione dei diversi modelli. “Una partecipazione di tipo incisivo – spiega Leonardi – implica più conoscenza dei processi produttivi, responsabilizzazione, trasparenza, pazienza strategica e visione a lungo-medio termine”. E se si guardano i grafici e le analisi che mettono a confronto i diversi sistemi di partecipazione in Europa dal punto di vista dell’efficienza e dei risultati ottenuti dalle imprese, risulta evidente il legame tra partecipazione e performances economiche. “I migliori risultati – dice Leonardi – risultano essere quelli ottenuti dalla Germania e dalla Scandinavia, paesi che risultano nei primi posti delle classifiche europee in tema di partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori alle scelte strategiche delle aziende”.
Leonardi (Fdv): servono conoscenza, responsabilizzazione e trasparenza
L’altro aspetto molto interessante dell’analisi di Leonardi riguarda gli effetti “sociali” e non solo economici dell’applicazione dei modelli partecipativi. “Nei vari studi che abbiamo condotto sull’argomento – dice il ricercatore della Fondazione Di Vittorio – abbiamo potuto verificare effetti positivi dei modelli dal punto di vista della riduzione delle diseguaglianze (minore gap retributivo tra top manager e dipendenti), una occupazione di qualità e perfino la realizzazione di ristrutturazioni socialmente ed ecologicamente più responsabili. In generale una coscienza civica e una democrazia politica più avanzate”.
Ma se questi sono i risultati tangibili delle scelte responsabili in tema di partecipazione dei lavoratori, risulta evidente la necessità di intervenire (anche dal punto di vista di una legislazione d’appoggio alla contrattazione sindacale) per tentare di invertire la rotta che ha preso il capitalismo nel suo stadio avanzato. Se su un piatto della bilancia (quello della partecipazione e della democrazia industriale) ci sono fenomeni sociali positivi, sull’altro piatto c’è quello che registra la cronaca ogni giorno: fuga delle imprese, irresponsabilità totale, shopping fiscale, assenza totale di dialogo con i lavoratori e i loro rappresentanti. E’ arrivato il momento di scegliere una strada nuova.
In questo caso non si tratta di forme di partecipazione per come le abbiamo raccontate in questi approfondimenti, ma d'interventi diretti dei lavoratori dipendenti in caso di crisi e chiusura di aziende, forma estrema di partecipazione e corresponsabilizzazione. Con l'espressione Workers Buyout, tratta dalla cultura anglosassone, si intendono infatti tutte quelle azioni di salvataggio dell’azienda realizzate direttamente dai dipendenti che subentrano nella proprietà. È una modalità di salvataggio delle imprese introdotta con la legge Marcora del 1985. Secondo uno studio di Legacoop, dal 1985 a oggi sono state identificate 323 imprese recuperate dai lavoratori in forma cooperativa, coinvolgendo 10.408 dipendenti. Circa il 75% delle operazioni di recupero condotte a partire dal 2003 (anno di entrata in vigore della riforma della Legge Marcora, datata 2001) sono tuttora attive.
Circa il 70% dei Workers Buyout si sono originati tra le regioni del Centro e del Nord-Est del Paese, con una netta prevalenza delle regioni centrali (46%). Solamente l’11% complessivo è invece distribuito tra il Sud e le Isole. La grande maggioranza delle imprese recuperate sono attive nell’industria manifatturiera (il 79,6%). Molto presenti anche i servizi, in particolare la logistica e i trasporti, oltre che quelli legati all’industria cinematografica, di informazione e comunicazione. Le operazioni di recupero delle imprese da parte dei lavoratori, ad oggi, contano su un capitale sociale di 63 milioni e un patrimonio netto di 113 milioni. Sviluppano nel complesso 490 milioni di euro generando un utile di 1,7 milioni di euro.
Su Collettiva abbiamo affrontato più volte il tema raccontando le varie esperienze di salvataggio delle imprese da parte dei lavoratori. La storia più recente quella raccontata nel video di Fabrizio Ricci sulla legatoria Tuderte di Pantalla (Perugia) in Umbria.
«Abbiamo rilegato il lavoro»
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