La tempesta perfetta. È quella che ha investito in pieno il settore della ceramica. Prima l'emergenza sanitaria, poi l'aumento dei costi energetici, ora la guerra. Per uno dei fiori all'occhiello del nostro sistema industriale, le vicissitudini non finiscono mai. Se la pandemia era stata brillantemente superata nel giro di pochi mesi, senza grosse ricadute produttive e occupazionali a fine 2020, l'abnorme rincaro dei prezzi di gas ed energia perdura tuttora e sta facendo perdere colpi anche al fiorente mercato delle piastrelle di Sassuolo (Modena), leader mondiale per l'esportazione e colonna fondamentale dell'economia europea (nonché principale distretto produttivo a livello nazionale).

Ma il colpo di grazia alla ceramica è arrivato dalla guerra scoppiata nel febbraio scorso in Ucraina, visto che circa l'80% dei materiali necessari per la creazione delle piastrelle - argilla e caolino (la polvere bianca che dà particolare brillantezza al prodotto) - viene importato dalle nostre imprese proprio dall'attuale teatro del conflitto, la regione del Donbass, in particolare nella provincia di Donetsk, nella porzione di territorio non ricompresa nelle due autoproclamate repubbliche riconosciute da Putin, che si trovano quindi tuttora in territorio ucraino. È evidente, però, il rischio che un'estensione delle aree interessate da scontri o eventuali azioni belliche che compromettano la funzionalità delle infrastrutture ferroviarie potrebbero portare a gravi criticità di approvvigionamento. Per l'Italia, in ogni caso, la continuità di tali forniture è essenziale per garantire l'attività delle imprese ceramiche e l'occupazione.  

Più in generale, tutto dipende dall'Ucraina, essendo quel Paese il principale fornitore strategico di materie prime per l'intera industria ceramica europea (che vede ai primi posti noi e la Spagna). Lo confermano i dati: 2,2 milioni di tonnellate di argilla e oltre 100 mila tonnellate di caolino destinati ogni anno all'Italia provengono da laggiù. Quelle due materie prime sono di fondamentale importanza per la produzione di piastrelle in ceramica, in quanto rappresentano fra il 30 e il 50% dei minerali impiegati dall'industria. E non sono sostituibili. Pertanto, in caso d'interruzione delle forniture, si presenterebbe un rischio oggettivo e immediato di arresto delle produzioni.    

"La situazione del settore è complicata e siamo profondamente preoccupati, perché non c'è una soluzione a breve", sostiene Sonia Tosoni, segretario nazionale Filctem Cgil: "Si assommano vari fattori negativi e, nel caso del conflitto bellico, l'incertezza è assoluta. Lo stoccaggio di materiali accumulati dalle aziende italiane non supera i 30-40 giorni, trascorsi i quali scatterà l'allarme rosso in tutto il settore, con il paventato rischio di blocco della produzione per mancanza di materia prima".

Ma anche se la guerra finisse domattina - avvertono al sindacato -, passerebbero comunque dei mesi per ripristinare la rete di comunicazioni indispensabili per la nostra filiera produttiva, che vede nel porto di Ravenna il principale punto d'ingresso per la materie prime provenienti dall'area dei Balcani. Le imprese si sono già messe alla ricerca di possibili mercati alternativi per l'approvvigionamento di materiali, in Europa e anche oltreoceano, ma non è un passaggio semplice né immediato, soprattutto ai fini della qualità e della purezza del prodotto da garantire per continuare a essere competitivi sui mercati. 

Per le 133 imprese e i quasi 19 mila addetti che compongono il settore (se s'include anche la filiera - colorifici, smalti, macchinari -, le cifre salgono a oltre 300 realtà produttive e 35 mila occupati, numero che almeno si raddoppia considerando poi l'indotto), dunque, sono tempi difficili. Malgrado tutto, la ceramica continua a tirare. Nel 2021, il solo settore piastrelle - secondo Confindustria ceramica - ha prodotto circa 430 milioni di metri quadrati, pari a un fatturato di 6,2 miliardi.      

"Finora gli ordini sono stati così tanti e i margini di guadagno talmente alti che pochissime aziende hanno fatto ricorso o usufruito di ammortizzatori sociali, mantenendo quote di mercato importanti nei Paesi esteri", sostiene la dirigente sindacale: "Ma di fronte all'incremento generalizzato e continuo delle commodities energetiche, con il prezzo del gas salito di sette volte rispetto all'anno scorso e la speculazione finanziaria delle quote Ets (sistema di scambio di quote di emissione di gas serra, lanciato nel 2005 dall'Unione Europea per combattere il riscaldamento globale, ndr), molte imprese cominciano a chiedersi se sia conveniente o meno produrre in un momento come questo. Da lì la decisione di alcune aziende, soprattutto quelle che lavorano per conto terzi, di provare a fermarsi, dilazionando in avanti le consegne, accompagnata dalla richiesta di cassa integrazione per i dipendenti".

Anche su quest'ultimo terreno, però, le cose non sono per nulla semplici. "In questo caso, la cig non scatta automaticamente, non avendo di fronte aziende in sofferenza a causa di un calo produttivo. "Ci vuole un ammortizzatore sociale ad hoc per l'aumento dei costi energetici", rileva ancora la sindacalista: "I lavoratori sono giustamente preoccupati. Da un lato, si prospetta un futuro incerto per via del possibile blocco della produzione; dall'altro, una decurtazione del salario per via della cassa integrazione, qualora se ne assicuri l'accesso, e anche a causa della ripresa dell'inflazione".     

Imprese e sindacati stanno facendo fronte comune nelle avversità, e hanno già lanciato l'sos al governo, scrivendo a febbraio al Presidente del Consiglio Draghi, e ai ministri dello Sviluppo economico Giorgetti, del Lavoro Orlando e della Transizione ecologica Cingolani, con un elenco di richieste specifiche, articolato in sette punti. Si va dalla mitigazione degli impatti del costo dell'energia (elettrica e gas) con interventi di contenimento, alla valorizzazione del gas nazionale in sostituzione di quello importato; dalla valorizzazione di risorse per agevolare il processo di riconversione produttiva delle industrie fortemente 'energivore', all'accesso agli ammortizzatori sociali per tutelare il sistema produttivo e i livelli occupazionali.

E ancora: dal ricambio generazionale e l'acquisizione di nuove competenze attraverso specifici interventi di sostegno alle imprese, alla transizione energetica nell'ambito dell'economia verde con l'utilizzo di vettori sostenibili e a basse emissioni mediante il sostegno all'acquisto di macchinari e all'adeguamento degli impianti per la realizzazione della filiera nazionale, alla riqualificazione del parco immobiliare nell'ambito dell'efficienza energetica. In sostanza, una serie di interventi che imprenditori e organizzazioni sindacali del settore reputano basilari e urgenti per la trasformazione e il rilancio del settore, attraverso una svolta 'green'.