Vittoria in giudizio per una lavoratrice con disabilità che ha chiesto aiuto alla Cgil/Agb a Bolzano. Assunta mediante il collocamento mirato con un contratto a tempo determinato di 12 mesi, la donna è stata licenziata dopo un periodo brevissimo per mancato superamento del periodo di prova. Chiesto aiuto al sindacato, l’Ufficio Vertenze Legali Cgil/Agb di Bolzano ha impugnato il licenziamento sulla base di due elementi: la brevità del periodo di lavoro e il fatto che si trattasse di rapporto di lavoro sorto in ragione di un collocamento mirato.

“Parliamo di una mansione per cui il contratto collettivo nazionale di lavoro Gomma e Plastica applicato in questa situazione prevede un periodo di prova non molto lungo – ci ha spiegato l’avvocato Arabella Martinelli, che ha seguito la causa insieme all’avvocato Karl Reiterer, lavorando al caso in collaborazione con Marzia Bonetto dell’Ufficio Vertenze Legali della Cgil/Agb –. Noi abbiamo presentato il ricorso e abbiamo eccepito in primo luogo la mancata specificazione delle mansioni sia per come indicate nel contratto di assunzione sia per relationem mediante il rinvio al contratto nazionale di settore. Fondamentale ai fini dell’affidamento in buona fede delle parti è, infatti, che la mansione oggetto della prestazione di lavoro e, chiaramente, oggetto della prova, sia indicata specificatamente, affinché entrambe le parti contrattuali siano in grado di valutare la convenienza del rapporto di lavoro. Il lavoratore, infatti, deve sapere esattamente su cosa sarà valutato e quali saranno le condizioni del rapporto di lavoro, così come il datore di lavoro deve valutare le capacità del lavoratore. Nel caso di specie il contratto collettivo di riferimento era quello della gomma plastica, la mansione era quella di addetto ai lavori non rientranti nel ciclo produttivo, livello I 3”.

Cosa ha stabilito il giudice? “I giudici di merito del primo e del secondo grado di giudizio, confermati dalla Cassazione con la sentenza n. 1099/2022, hanno valutato che la dicitura contrattuale della mansione non fosse esaustiva, così come non lo era il rinvio al livello di inquadramento di cui al contratto nazionale, perché la declaratoria del contratto nazionale parlava sostanzialmente di lavori analoghi a quelli di pulizia, senza specificare. In pratica, hanno ritenuto che il rinvio alle declaratorie del contratto nazionale non fosse sufficientemente specifico e reso nella nozione più dettagliata. Pertanto, hanno ritenuto che questo patto di prova fosse nullo e, di conseguenza, che il licenziamento fosse illegittimo”.

E cosa ha deciso? “Il datore di lavoro, in caso di patto di prova nullo in un rapporto di lavoro a tempo determinato, viene condannato al risarcimento del danno equivalente alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito dal giorno del recesso alla naturale scadenza del contratto. Ma tornando alla problematica del corretto esperimento del periodo di prova, preme rilevare l’attenzione dedicata nella presente sentenza dalla Corte di Cassazione alla condizione del lavoratore disabile, laddove la Suprema Corte invita a valutare con particolare rigore la specificazione della mansione nell’ipotesi di assunzione di lavoratore disabile. Particolare importante anche perché sussistono pochi casi analoghi avanti al giudice di legittimità. Infatti, è bene ricordare che in base alla Legge 68/99 il lavoratore disabile deve essere adibito a mansioni compatibili con le proprie minorazioni e con le proprie capacità lavorative residue, quindi a maggior ragione è ancora più importante in questo caso specificare le mansioni. Anche perché, in base alla Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia nel 2009, così come in base alla nostra Costituzione e alla normativa sul collocamento mirato, punti focali restano promuovere e garantire l’inclusione nel mondo del lavoro delle persone con disabilità e l’esercizio del diritto al lavoro in condizioni eque”.

Una sentenza molto importante quindi? “Una sentenza molto importante perché non accade spesso, rispetto ai numeri delle cause di merito, che sentenze sul patto di prova arrivino fino in Cassazione e per il tema sensibile dell’assunzione del lavoratore con disabilità”.

Cosa ha stabilito la sentenza? “Ha condannato l’azienda, azienda che già all’esito dell’appello aveva pagato quello che doveva pagare a favore della lavoratrice, così come le spese legali dei precedenti gradi di giudizio. Adesso c’è la condanna al pagamento delle spese legali e al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato”.