Alla vigilia del voto di fiducia sulla legge di Bilancio che contiene anche i provvedimenti sulle delocalizzazioni abbiamo chiesto al segretario confederale della Cgil, Emilio Miceli, che ha la delega alle politiche industriali qual è il giudizio del sindacato sugli interventi previsti dal governo.
Prima di tutto è necessario chiamare le cose con il loro nome. Quella che si è messa in campo con gli emendamenti alla legge di Bilancio è un’ordinaria regolazione delle procedure di chiusura delle aziende. Affrontare veramente il problema delle delocalizzazioni avrebbe dovuto obbligare ad un ripensamento delle politiche industriali nel loro complesso. Un punto deciso riguarda il fatto che non si possono non considerare le condizioni di vantaggio che un Paese può offrire a chi viene a investire sul territorio nazionale. Nello stesso tempo parlare di delocalizzazioni significa affrontare finalmente sia le regole della rappresentanza, sia impostare una rigorosa regolamentazione della domanda pubblica.

In che modo?
Noi siamo convinti che l’obiettivo alto cui mirare dovrebbe essere costituito dal rientro di produzioni e ancor più di fasi di lavorazione che sono andate all’estero e che rientrando nel nostro Paese possano completare il ciclo delle filiere industriali. Si tratta anche di risolvere, al tempo del commercio mondiale, il problema della “gestione” dei dati che devono essere trattati all’interno dei confini nazionali.

Nel dispositivo scelto dal governo e dal parlamento con le Legge di Bilancio questi obiettivi saranno centrati? Che aiuto potranno dare alle centinaia di vertenze in corso?
Purtroppo, ed è un fatto grave, il dispositivo ha mancato anche l’obiettivo minimo di sospendere le procedure in corso. Voglio dire che è sorprendente come l’emendamento non modifichi nulla di ciò che succede nelle vertenze aziendali aperte. Il quadro delle sanzioni previste non è tale da scoraggiare una impresa di medie dimensioni che scelga di delocalizzare. C’è un equivoco di fondo. Prima di tutto è stato sbagliato il metodo. È mai possibile che non si senta il sindacato in sede formale quando si affrontano temi che sono direttamente riconducibili alle vertenze aziendali? Davvero la mediazione politica, almeno in questo caso, viene considerata esaustiva in un processo così delicato per migliaia di lavoratori? E questo succede subito dopo lo sciopero generale.

La Cgil, alla vigilia del varo di questo provvedimento, era stata molto chiara...
Sì, avevamo detto che sarebbe fondamentale che il dispositivo di legge sulle delocalizzazioni avesse previsto un intervento diretto sulle crisi in corso. Altrimenti non avrebbe avuto quei requisiti di vera urgenza di cui invece c’è assoluto bisogno. Milioni di lavoratori hanno chiesto una svolta nelle politiche industriali, ma il governo evidentemente ha preferito scegliere la via tecnocratica della autosufficienza. La legge sulle delocalizzazioni avrebbe potuto essere l’occasione per aprire un grande dibattito, ma evidentemente è stata un’altra occasione mancata.