È un centro di eccellenza sulla sordità, l’unico rimasto in tutto il territorio nazionale. Ha una storia che prende avvio nel 1784 quando viene fondato e diventa uno dei primi enti pubblici a occuparsi di disabilità. Oggi offre servizi e attività introvabili altrove, dallo sportello sulla sordità a pubblicazioni e produzioni multimediali specializzate, accessibili e gratuite, da incontri e iniziative culturali, tra cui anche un festival internazionale del cinema sordo, a formazione, corsi, ricerca, progettazione.

Eppure, l’Istituto statale per sordi di Roma rischia di chiudere. Perché non ha più un centesimo, neppure per accendere il riscaldamento. I suoi venti lavoratori, tutti precari, tutti con contratto di collaborazione da 25 anni, non percepiscono lo stipendio da sei mesi. E da due anni non si vedono versati i contributi. Cosa ancora più grave se si pensa che nel caso in cui dovessero perdere il posto, non potrebbero neppure accedere agli ammortizzatori sociali. Cosa ancora più grave se si pensa che otto di loro sono sordi.

“Nonostante tutto, in questi sei mesi noi lavoratori non abbiamo mai fatto mancare il nostro apporto, abbiamo continuato a garantire i servizi alle famiglie e agli utenti anche se non c’è il riscaldamento, disagio che coinvolge gli altri soggetti che operano in questa struttura, associazioni e scuole dall’infanzia alle medie – spiega Luca Des Dorides, disability manager e Rsa Nidil Cgil -. Se l’istituto chiude, ci ritroveremo senza prestazioni sociali e con un gruppo di impiegati in fascia debole che avranno difficoltà a trovare lavoro, dato che la collocabilità delle persone sorde in Italia non è a livelli adeguati”. La situazione è paradossale. Un istituto dello Stato, che dipende dal ministero dell’Istruzione, l’unico in Italia a occuparsi di sordità, rischia di chiudere.

E la politica che fa? Niente. Il governo? Niente. I lavoratori hanno scritto a deputati e senatori di tutti gli schieramenti, destra, sinistra, centro, ma non hanno ricevuto nessuna risposta. Dopo un presidio di protesta organizzato a novembre davanti al Ministero, sono stati ricevuti, a parole hanno avuto rassicurazioni, gli è stato comunicato che sarebbe cambiato il commissario straordinario. Ma quello che va fatto è trovare subito le risorse per risolvere la gravissima difficoltà finanziaria in cui versa l’ente.

Una storia che viene da lontano. “L’istituto da 24 anni è in attesa di un regolamento che ne definisca le attività in maniera codificata e possa consentire la stabilizzazione del personale precario – afferma Silvia Simoncini, segretaria nazionale Nidil Cgil -. La nostra richiesta è duplice: risolvere con un intervento emergenziale la situazione economica, per ripristinare il corretto pagamento degli stipendio e il versamento dei contributi dovuti, e poi scrivere finalmente questo regolamento. L’Issr oltre ad avere un rilievo e un impatto sul territorio di Roma e del Lazio, crediamo che abbia una rilevanza e un campo di azione a livello nazionale, e questo ruolo va riconosciuto”. 

In attesa dal 1997 di direttive specifiche in grado di ridisegnare funzioni e competenze, dopo che la riforma del ’77 ne aveva svuotato le aule stabilendo il diritto all’integrazione scolastica degli alunni disabili e che la legge Bassanini lo aveva inquadrato tra gli istituti cosiddetti “atipici”, l’Issr ha proseguito le sue attività per inerzia. O meglio, grazie alla spinta propulsiva dei suoi lavoratori, che hanno individuato bisogni e trovato risposte alle esigenze delle famiglie: un’offerta formativa molto articolata, corsi di lingua dei segni italiana, di didattica specializzata rivolti al mondo della scuola, per operatori e famiglie, di informatica e di italiano, per ostetriche, infermieri e operatori socio-sanitari, uno sportello di consulenze gratuite altamente specialistiche sul deficit uditivo in ambito logopedico, educativo, giuridico, psicologico-cognitivo. Solo per citare alcuni dei servizi messi in campo.

Nel frattempo, in attesa del riordino, i dipendenti precari praticamente in autogestione hanno rincorso i finanziamenti per consentire all’ente di continuare a operare. Un’ala dell’immobile è stata affittata alla Provincia che ha pagato un canone destinato a sostenere le attività fino al 2015, ma quando il contratto è scaduto è venuta meno una fetta consistente di introito. L’istituto ha continuato a percepire altri affitti, somme esigue, e poi qualche finanziamento per progetti, attività, corsi di formazione. Intanto il debito cresceva, tanto che l’ente ha iniziato a non pagare più le bollette e neppure i contributi dei lavoratori. 

E il ministero? Il Miur ha vigilato sull'Issr nominando gli organi direttivi e amministrativi, presidenti del Cda, commissari, dirigenti, ma non gli ha mai destinato i cospicui fondi previsti per legge per gli “istituti atipici" e alla loro trasformazione, e si è limitato a versare un piccolo contributo da 40mila euro che a partire dal 2009 ha anche smesso di corrispondere. La storia dell’istituto si è trasformata così nella storia di un lento abbandono silente, dove anche l’edificio è stato lasciato andare, tanto che adesso ha bisogno di importanti opere di manutenzione.    

“Noi cerchiamo di dare una risposta concreta a esigenze avvertite dalla comunità sorda, ma anche dagli operatori e dagli enti che a vario titolo orbitano intorno a questo mondo – afferma Elena Mele, coordinatrice sportello sordità e delegata Nidil Cgil -. L’esigenza c’è, è reale e si concretizza in tutte le istanze che pervengono ai vari servizi che l’istituto continua a offrire, dalle consulenze altamente specialistiche alla formazione, dalle produzioni multimediali alla ricerca”. Un patrimonio che certamente andrà perso se non si corre ai ripari.