Un’altra multinazionale che se ne va. La Timken, impresa metalmeccanica di Villa Carcina (Brescia), ha confermato la chiusura dello stabilimento e il conseguente licenziamento dei 106 lavoratori. Nel vertice che si è tenuto in videoconferenza nel tardo pomeriggio di ieri (lunedì 23 agosto) nella sala consiliare del Comune lombardo, l’azienda americana produttrice di cuscinetti per il comparto dell’automotive ha ribadito la decisione annunciata il 19 luglio scorso. Nessun ripensamento, dunque, bensì la volontà di dismettere l’impianto.

Al ritorno dalle ferie, che si chiudevano formalmente il 20 agosto, i dipendenti hanno quindi trovato l’amara sorpresa. Ora la decisione aziendale, pronunciata direttamente dal presidente europeo della multinazionale Andy Dillon nel corso di questo secondo incontro con sindacati e istituzioni locali (il primo risale al 21 luglio scorso), sarà formalizzata e comunicata per lettera ai lavoratori, avviando di fatto la procedura per la messa in mobilità. Scatteranno poi i 75 giorni previsti per legge per trovare un accordo, che però si annuncia davvero molto difficile, considerata la ferma posizione espressa dalla Timken.

La proposta della Fiom Cgil è di poter arrivare al contratto di solidarietà di 30 mesi, ed è su questo obiettivo che il sindacato intende lavorare nel mese e mezzo messo a disposizione dalla legge. Qualora la Timken (che ha base nello stato americano dell’Ohio) continuasse a essere irremovibile, si attuerà il licenziamento collettivo e i 106 dipendenti saranno posti in cassa integrazione straordinaria per un anno per cessata attività.

Dal 19 luglio i lavoratori sono in presidio permanente nel piazzale d’ingresso della fabbrica. “Il presidio continuerà, la battaglia va avanti”, rimarca il segretario generale della Fiom bresciana Antonio Ghirardi, sottolineando di aver riproposto “l’utilizzo degli ammortizzatori sociali ordinari, a iniziare dal contratto di solidarietà”. L’azienda, però, ha ribadito che “la decisione è presa, la loro volontà è chiudere immediatamente il sito e delocalizzare in Romania. Ed è davvero inaccettabile il rifiuto della mediazione”.