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Industria
Riconversione ecosostenibile del sistema industriale, utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili per la decarbonizzazione. Conversazione con Walter Schiavella, responsabile delle politiche energetiche della Cgil nazionale: "E' già in atto un processo che coinvolgerà migliaia di lavoratori"
Riconversione dell’industria chimica e siderurgica, scelte sui combustibili che sostituiranno il carbone, riorganizzazione dei territori per sfruttare al meglio le energie rinnovabili contrastando il dissesto idrogeologico e il cambiamento climatico. “Le politiche energetiche assumono un ruolo strategico per il futuro del Paese anche perché è su questo terreno che si giocherà la partita del riposizionamento dell’Italia e del suo sistema produttivo. Si tratta di affrontare scelte radicali che metteranno in discussione gli equilibri esistenti e provocheranno complessi problemi di sostenibilità sociale delle scelte ambientali”. Il ministro Cingolani ha parlato per esempio di una transizione graduale per evitare “bagni di sangue”. La Cgil è pronta ad affrontare le questioni più calde e ha elaborato un pacchetto di idee in una serie di incontri del Coordinamento nazionale. Abbiamo approfondito le questioni principali con Walter Schiavella, che arriva alla responsabilità delle politiche energetiche della Cgil nazionale dopo importanti esperienze sul campo: prima segretario generale della Cgil Roma e Lazio, quindi segretario generale della Fillea, il sindacato delle costruzioni, poi come segretario generale della Camera del Lavoro Metropolitana in una grande città come Napoli.
Un Piano nazionale limitato
“I limiti del Pnrr , Piano nazionale di ripresa e resilienza presentato dal governo italiano a Bruxelles, così come quello delle recenti proposte della Commissione europea del cosiddetto “Fit for 55”, non risiedono negli obbiettivi ampiamente condivisi e nelle scelte necessarie di accelerazione dei tempi, bensì nella mancata definizione di strumenti e percorsi per accompagnare la transizione. Di fatto il rischio è che, fissati gli obiettivi pur condivisi, si dia mano libera al mercato con il rischio di lasciare sul campo interi settori produttivi e i relativi territori con costi sociali pesanti”.
Nel Pnrr, in particolare, si assume l’obiettivo della decarbonizzazione entro il 2025 e si finanziano alcuni percorsi per la grande riconversione. Questi progetti assorbono complessivamente 15,64 miliardi di euro e a queste risorse vanno aggiunte quelle per ricerca e sviluppo in materia di idrogeno e batterie sostenuti con 1,5 miliardi complessivi. C’è però un limite grave. “Nel Pnrr – spiega Schiavella - non sono affrontati i temi della transizione energetica nel passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili in termini di definizione di strumenti e obiettivi intermedi nel breve e medio periodo. Strumenti che siano capaci di garantire la sostenibilità e la coerenza con gli obiettivi che andranno ridefiniti nel nuovo Piano nazionale dell’energia, garantendo al contempo il mantenimento della necessarie flessibilità e l’appropriatezza della produzione energetica nazionale. Come sappiamo è in gioco la riconversione di una parte importante del sistema industriale collegato ai combustibili fossili. Nel Mezzogiorno innanzitutto, ma nel complesso del Paese, è in atto un processo di ristrutturazione che coinvolgerà decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori”.
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Riccardo Sanna
Un Paese montagnoso
Per evitare di rimanere schiacciati nell’antica contrapposizione tra difesa del lavoro e tutela dell’ambiente e della salute, per la Cgil è necessario pensare a un percorso di azioni positive e innovative. “Abbiamo sistematizzato una serie di ipotesi di lavoro – dice Schiavella - proprio per avere uno sguardo strategico e uscire da contrapposizioni che potrebbero avere effetti drammatici. Una prima opportunità ci è data dalla conformazione stessa del Paese: l’Italia è prevalentemente montagnosa e gode di un’eredità importante, rappresentata dalle centrali idroelettriche che a oggi producono circa il 50 per cento delle energie rinnovabili e che potrebbero offrire la possibilità di un forte aumento di produzione con adeguati investimenti sulle tecnologie di pompaggio e lo sviluppo di bacini idrici, specie nell’Appennino centro meridionale, in grado di dare una risposta anche al dissesto idrogeologico e ai cambiamenti climatici. Anche la produzione da biomassa potrebbe dare il suo contributo su questo tema, anche se in quantità più ridotte. Anche la geotermia rappresenta una fonte rinnovabile programmabile e quindi doppiamente utile al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione”.
Dopo il carbone
Il governo conferma l’obiettivo dell’uscita dal carbone entro il 2025. Anzi nel Pnrr si propone addirittura un’accelerazione per accorciare i tempi. È evidente, quindi, che non basta enunciare obiettivi generali. Per Schiavella, per raggiungere l’obiettivo, sarà “necessario sostenere con adeguati investimenti e coerenti politiche industriali nazionali la produzione di Fer (energie rinnovabili) e della relativa tecnologia necessaria in particolare per gli impianti di eolico off-shore ed energia da moto ondoso – potenziale enorme e completamente inespresso nel nostro Paese – su cui c’è una sostanziale condivisione da parte delle comunità e che è in grado di dare occupazione superiore rispetto alle altre fonti rinnovabili”.
C’è poi la questione complessa del gas. “Si tratta di affrontare anche la questione dell’utilizzo del gas nelle centrali a ciclo combinato nella fase di transizione – spiega Schiavella – se infatti, come si desume dai dati, si evidenzia un fabbisogno di energia 'regolabile' nel breve medio periodo, allora dovranno essere autorizzate quelle riconversioni delle attuali centrali a carbone che saranno strettamente necessarie a rispondere al fabbisogno annuale, pur da ridurre progressivamente. La riconversione dovrà essere eseguita con impianti di produzione di ultima generazione, progettati per poter bruciare idrogeno verde fino a percentuali altissime, se non totali, che quindi si candidano a chiudere la catena del processo di stoccaggio rimettendo nella rete energia elettrica pulita.
Impianti di nuova generazione
Si tratta di unire le esigenze di sostenibilità con quelle di efficienza. “Rispetto ai cicli aperti a gas, gli impianti di ultima generazione offrono più efficienza, meno emissioni (tendenti a zero con il progressivo aumento di biometano e dell’idrogeno) e più occupazione. Tali impianti andranno individuati, laddove consentito dalle condizioni climatiche e geomorfologiche, in prossimità di corrispondenti impianti di eolico off-shore per generare energia destinata alla produzione in loco di idrogeno green. In quest’ottica, anche la 'medicina amara' sarà assunta solo nelle giuste dosi e per il tempo strettamente necessario lasciando anche ai territori che dovranno assumerla il valore aggiunto delle tecnologie carbon free e delle ricadute ambientali, produttive e sociali che esse potranno generare”. Sarebbe nel frattempo necessario, per gli impianti a ciclo combinato ancora in esercizio, prevedere un insieme di combustibili gassosi da utilizzare in modo compatibile con la loro disponibilità e con l’obiettivo di riduzione delle emissioni.
In questo quadro il meccanismo del Capacity market dovrà essere rivisto introducendo anche il sostegno ai sistemi di accumulo e alle Fer, garantendo flessibilità dell’offerta e remunerazione del capitale investito; per quanto riguarda gli impianti a combustibile fossile l’uso del Capacity market andrà limitato ai soli impianti necessari a garantire la sicurezza energetica nazionale e flessibilità e appropriatezza della rete.
Investimenti all’idrogeno
Alla luce degli studi e delle esperienze fatte negli ultimi anni, la Cgil è convinta che l’idrogeno possa rappresentare un’opportunità per i settori difficili da decarbonizzare (hard to abate sectors quali l’acciaio, i cementifici e molti settori manifatturieri per il trasporto aereo e navale, in alcuni casi per il trasporto a lunga percorrenza con il treno e via gomma). In tutti questi casi l’idrogeno è la reale alternativa ai combustibili fossili ed è quindi il vettore attraverso il quale si dovrà completare il modello energetico e produttivo del Paese dentro e oltre la transizione. A questo obiettivo è quindi necessario che concorrano consistenti quote di investimento pubbliche e private. La positività strategica di questo vettore è che può essere stoccato durante i periodi di alta produzione per poi essere riconvertito in energia in quelli di bassa o nulla produzione da energie rinnovabili; non è però il sistema più economico. In particolare l’idrogeno verde ha un costo di produzione di circa 5/6 volte quello blu prodotto da gas naturale.
Ma deve essere “green”
Per attivare un percorso virtuoso, sempre secondo Walter Schiavella, “sono necessari forti incentivi per lo sviluppo dell’idrogeno green in primo luogo attraverso il Pnrr. È necessario investire in elettrolizzatori, impianti di produzione, trasporto, stoccaggio e generazione elettrica. In sintesi è necessario che si sviluppi da subito una intera filiera nazionale per accompagnare lo sviluppo della produzione, distribuzione e utilizzo dell’idrogeno. Occorre evitare che, come accaduto per i pannelli fotovoltaici, l’Italia diventi esclusivamente un mercato per produzioni fatte all’estero e un campo da gioco per player stranieri. In questo senso è evidente l’importanza di sottolineare il ruolo che debbono giocare i grossi player nazionali ancora in campo (Enel, Eni, Snam, ecc.) chiamati da un lato a politiche di investimento maggiormente centrate in Italia piuttosto che all’estero e, dall’altro, a sviluppare i processi in atto di costruzione di partenership internazionali senza che divengano ulteriori elementi di indebolimento degli assi strategici nazionali. La mole di investimenti previsti dai piani industriali di queste società è tale da dover essere necessariamente parte di una politica industriale nazionale capace di coordinarli, orientarli e incrementarne gli impatti (il piano industriale di Terna prevede circa 9 miliardi di investimenti sulla rete 2021-25; quello di Enel 14 miliardi di cui circa 3 sulle energie rinnovabili nel triennio 2021-23).
Ammodernare le reti
Infine, per chiudere il discorso, sarà necessario uno straordinario ammodernamento e digitalizzazione delle reti e lo sviluppo delle reti intelligenti. Si tratta di una condizione indispensabile per garantire il proseguimento della transizione energetica, l’elettrificazione dei consumi e la fruibilità di un processo di generazione elettrica che, con l’utilizzo delle Fer, sarà necessariamente più diffuso nei territori. L’ammodernamento delle reti deve essere una priorità. In tal senso sono già previsti parecchi miliardi di euro di investimenti privati anche nei vari piani industriali delle aziende del settore, ai quali si andranno ad aggiungere probabilmente quelli dei vari piani di incentivo definiti dal governo.
Quello che nel Pnrr invece manca è il necessario investimento sulla rete gas sia in termini di estensione sia in termini di adeguamento al trasporto dell’idrogeno. Su questo, come su tutti gli altri punti, sarà necessario nei prossimi anni rivalutare il ruolo dello Stato.
Per la Cgil il mercato da solo non è in grado di risolvere i problemi strategici del Paese, a partire appunto, dalle scelte in campo energetico.
(su questi punti vedi l’intervista al segrerario confederale, Emilio Miceli sul Pnrr).
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Paolo Andruccioli