Essenziali, ma invisibili. Sono i lavoratori degli appalti metalmeccanici dei settori petrolchimico ed energie. Quelli che fanno la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti: senza di loro, a un certo punto raffinerie e centrali elettriche si fermerebbero. “Nel corso degli anni si è affermato un modello di competizione, spinto da multinazionali insediatesi nel nostro Paese e grandi player italiani come Eni ed Enel, fondato sul ricorso sistematico ad appalti e subappalti”, spiega il segretario nazionale Fiom Cgil Gianni Venturi: “Pietra angolare di questo modello è la competizione al ribasso sul versante delle tutele e dei diritti dei lavoratori”.

La misura ormai è colma, i lavoratori non reggono più. Da qui la decisione di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil di dichiarare il primo sciopero in assoluto del settore, con manifestazione nazionale a Roma. L’appuntamento è per oggi (martedì 6 luglio), alle ore 10 in piazza Santi Apostoli.

Partiamo dall’inizio: chi sono e dove sono questi lavoratori?
Sono quelli che consentono agli impianti petrolchimici e di generazione elettrica di marciare, e di farlo in sicurezza. Sono migliaia in tutta Italia, distribuiti in realtà territoriali che spesso sono anche ‘aree di crisi complessa’. Dal ‘quadrilatero padano’, ossia Porto Marghera, Ravenna, Ferrara e Mantova, a Livorno, Taranto, Porto Torres, Sarroch, Ragusa, Milazzo. E poi le centrali elettriche a carbone, che tra l’altro sono quelle che dovrebbero chiudere entro il 2025, in particolare Civitavecchia, Brindisi, Portoscuso e Fiume Santo in Sardegna.

Qual è la situazione di questo specifico settore?
È una realtà in cui la frantumazione del ciclo produttivo, e la frammentazione delle imprese all’interno del ciclo produttivo, ha consentito a multinazionali e grandi player di competere sui costi, con una logica di continuo ribasso, senza rispondere in termini di responsabilità e di vincoli sociali. Questa frantumazione, è bene sottolinearlo subito, ha anche un impatto notevole sul versante della salute e sicurezza, esponendo i lavoratori a rischi particolarmente rilevanti.

Questa totale “libertà” delle imprese, se così possiamo definirla, concretamente cosa provoca?
L’accentuarsi della frammentazione nella gestione degli appalti, in particolare nel cambio appalti, rende sempre più complicato garantire la continuità sia occupazionale sia nelle tutele dei lavoratori. A questo occorre aggiungere che la crisi pandemica tende a scaricare sugli anelli più deboli della catena del valore, quindi sulle imprese appaltatrici, le oggettive difficoltà che si sono registrate in termini di mobilità delle persone e delle merci in conseguenza del crollo del prezzo del petrolio. Le condizioni di fuoriuscita dalla crisi per questo settore, dunque, sono sicuramente molto complesse e oggi ci si deve misurare anche con lo sblocco dei licenziamenti.

Quali sono le richieste dei sindacati metalmeccanici?
Vi è anzitutto l’urgenza di un rafforzamento delle tutele e dei diritti dei lavoratori, in particolare per quanto riguarda i tanti ‘cambi appalto’. Occorre poi estendere e consolidare la contrattazione e l’esigibilità degli accordi di sito e territoriali, prevedendo che in quegli accordi ci sia, da parte dei committenti, una clausola sociale che si estenda al mondo degli appalti. È necessario, infine, iniziare a ragionare sulla reinternalizzazione di alcune funzioni, ovviamente laddove ci sono le condizioni, allo scopo di ricomporre la frammentazione del ciclo produttivo e delle imprese.

Il settore degli appalti metalmeccanici incrocia anche il tema della transizione energetica. In che modo?
Nella transizione energetica inevitabilmente c’è un conflitto, riguardante le prospettive e le condizioni dei lavoratori coinvolti. Dobbiamo individuare una traiettoria della transizione che guardi anche all’occupazione e alle persone che dentro la transizione rischiano di scomparire. Questo ovviamente assumendo sia un orizzonte di produzioni sostenibili, con massicci investimenti per garantire una molteplicità nell’offerta di biocarburanti e combustibili green, sia di una trasformazione nella produzione dell’energia elettrica, orientata alle energie rinnovabili e, in prospettiva, all’idrogeno.

Oggi c’è la possibilità, proprio su questo tema, di poter utilizzare le risorse che derivano dal Pnrr…
Dentro il Piano, a dire la verità, la svolta della transizione energetica non c’è. Nel Pnrr c’è una grande frammentazione degli investimenti: i progetti sono 162, di cui 107 inferiori al miliardo di euro. Questo si riflette sull’occupazione: una recente elaborazione dell’Ocse ha rivelato che in Italia avremo 1,3 posti di lavoro per ogni milione di euro investito, a fronte di 2,9 di Portogallo e Francia, 3,6 della Spagna e 4,8 della Germania. La concentrazione delle risorse del Pnrr è su realtà più orientate alla transizione digitale 4.0 e alle tecnologie, che saremo obbligati ad acquistare da altri Paesi, e che nel processo produttivo tendono a ridurre e non ad aumentare l'occupazione.