Non è la prima volta che si cerca di inserire la negoziazione assistita anche nelle controversie che riguardano il lavoro, con l’intervento degli avvocati delle parti e senza necessità di ratifica in sede sindacale o amministrativa. I precedenti tentativi non erano andati a buon fine. Ma adesso, per quello che risulta, questo istituto di cui si è dibattuto parecchio negli ultimi anni potrebbe essere di nuovo portato in Parlamento e riproposto nell’ambito della riforma del processo civile. Una riforma che ci chiede l’Europa (insieme a quella penale, del Csm e dell’ordinamento giudiziario), senza la quale non sarà possibile avere i fondi del Recovery, e a cui la ministra della Giustizia Maria Cartabia ha messo mano presentando emendamenti al disegno di legge all'esame del Senato.

La questione della negoziazione assistita non è di poco conto. Sembrerebbe un tema tecnico, riservato agli esperti, e invece riguarda tutti i lavoratori e le lavoratrici, perché potrebbe interessare ognuno di noi nel momento in cui ci dobbiamo accordare con il datore su un qualsiasi aspetto del rapporto, dal rinunciare a un diritto sancito dalle norme o dai contratti collettivi al sottoscrivere una transazione. La legge oggi prevede che questo genere di accordi debba essere fatto con l’assistenza di rappresentanti sindacali a cui il lavoratore si è affidato per tutelare i suoi interessi (la cosiddetta conciliazione sindacale).

Un sistema che garantisce la parte più debole, il lavoratore appunto, che deve essere realmente assistito, informato e reso edotto di quanto sta facendo. Chi non vorrebbe sapere con certezza a che cosa rinuncia e in che misura nel firmare una certa proposta? O quali concessioni fa nel sottoscrivere una determinata transazione? La conciliazione sindacale in tutti questi anni ha assicurato che ciò accadesse, fornendo tutela e protezione. E gli stessi giudici, chiamati talvolta a pronunciarsi sulla validità degli accordi, hanno concentrato l’attenzione proprio sull’assistenza ai lavoratori, verificando che sia stata effettivamente prestata oppure no.

“La negoziazione assistita da avvocati che si vuole introdurre non offre le stesse garanzie al lavoratore, anzi le toglie – spiega Lorenzo Fassina, responsabile dell'Ufficio giuridico e vertenze della Cgil nazionale -. Per diversi motivi. Innanzitutto l’assistenza sarebbe prestata da avvocati, sulla cui specializzazione il disegno di legge che prevede questa ipotesi non precisa nulla. Ma poiché siamo nel campo del diritto del lavoro, e in situazioni spesso molto delicate, i professionisti dovrebbero avere una preparazione specifica. Inoltre, le sedi dove questi accordi vengono gestiti devono essere protette, come nel caso della sede sindacale. In secondo luogo la negoziazione ha un’impronta privatistica molto accentuata, cioè consente maggiore libertà di movimento in una materia che invece è e deve rimanere salvaguardata. Non a caso ci sono diritti che sono inderogabili e indisponibili e la libertà negoziale è incompatibile con questo principio”.

Non ultimo, il sostanziale fallimento del sistema della negoziazione applicato anche in altri settori fin dal 2014, che non ha sortito l’effetto sperato, cioè quello di snellire le controversie. Allora, perché provare a introdurla? “Si vuole aggiungere un fattore concorrenziale – prosegue Fassina -, cioè dare ai datori la possibilità di scegliere questa strada, molto più semplice per loro, al posto della conciliazione sindacale. Se il datore prende due avvocati per far firmare una rinuncia in materia di licenziamento, quale lavoratore si potrebbe opporre e chiedere la conciliazione?”.