Una storia già vista e che, purtroppo, continua a ripetersi. La Ipb di Brandizzo (Torino) ha annunciato la decisione di cessare l'attività e chiudere per sempre lo stabilimento piemontese, mandando a casa tutti i 69 dipendenti. “Siamo in una situazione difficile”, spiega Luca Pettigiani della Fiom Cgil provinciale: “Chiediamo l'aiuto delle istituzioni locali. Non si possono lasciare tutte queste persone senza lavoro”.

La Ipb, fondata nel 1969, è un'azienda che produce attrezzature meccaniche. La società, legata all'indotto automotive, opera nel settore della realizzazione di stampi per le lamiere d'auto e alla produzione di sottogruppi di carrozzeria. Oltre al polo di Brandizzo, la ditta possiede uno stabilimento in Polonia dove lavorano altri 69 operai.

“L'azienda è presente sul territorio da 50 anni – prosegue Pettigiani – con professionalità medio-elevate. Nell'ultimo periodo, gli elevati costi di produzione hanno causato una certa difficoltà nel reperire gli ordini e ingenti perdite economiche. Ora la proprietà ci ha annunciato la scelta di chiudere e, di conseguenza, di procedere con un licenziamento collettivo”. Le parti sociali chiedono l'impegno e il coinvolgimento delle istituzioni per tutelare l'occupazione e il diritto al lavoro, in una zona industriale già in difficoltà.

La decisione assunta dall'azienda rischia di essere un problema molto serio per il tessuto produttivo torinese, provato dalla crisi del settore e da altre vertenze. Tanto più che il termine del blocco dei licenziamenti, fissato al 31 marzo, si sta avvicinando. “Questa – riprende il delegato Fiom – è la dimostrazione che, senza politiche industriali a sostegno della filiera automotive, si mettono a rischio tanti posti di lavoro e le competenze di migliaia di persone”.

Oggi ci sarà un primo incontro tra le parti sociali e la proprietà della Ipb presso l’Unione industriale di Torino. Nelle prossime settimane sono invece previste assemblee per decidere quale strada e quali iniziative intraprendere per sollecitare una soluzione rapida. “Ascolteremo tutti e cercheremo di trovare una soluzione”, conclude Pettigiani: “Come minimo, chiediamo un anno di cassa integrazione per cessazione dell'attività. Se poi ci saranno altri investimenti o la volontà di iniziare un percorso di reindustrializzazione, noi siamo pronti a confrontarci”.