Ogni anno entro il 31 marzo i lavoratori e le lavoratrici del settore agricolo possono presentare la domanda di disoccupazione agricola; contrariamente al nome che potrebbe trarre in inganno, la disoccupazione agricola non è un ammortizzatore sociale bensì una forma di sostegno al reddito.

Il lavoro agricolo è per sua natura a tempo determinato, soggetto alla stagionalità dei prodotti ortofrutticoli e alle variazioni climatiche, per questo nasce la disoccupazione agricola: per dare un salario dignitoso a chi lavora nel comparto consentendo così ai lavoratori e alle lavoratrici di poter rimanere a lavorare in agricoltura, contribuendo, non dimentichiamolo mai, a un settore strategico per il nostro Paese.

Sono oltre 1 milione i lavoratori e le lavoratrici dipendenti del comparto agricolo, di cui oltre il 90% assunti a tempo determinato, soggetti a una straordinaria flessibilità; è fondamentale quindi uno strumento integrativo che possa sostenere l’operatività del settore e il reddito di chi lavora. La disoccupazione agricola, infatti, è proporzionale alle giornate lavorate, quindi a meno lavoro corrisponde meno indennità.

Il comparto agricolo, proprio per sua natura, ha un sistema contrattuale e previdenziale a sé stante: contrattazione e previdenza sono correlati e complementari: il diritto alla malattia o alla maternità sono legati alle giornate lavorate e gli importi delle stesse derivano in parte dalla contrattazione nazionale e in parte da quella territoriale; infatti i contratti provinciali di lavoro determinano parte del salario di primo livello e la classificazione per rispondere alle specificità territoriali, ma lo stesso sistema pensionistico è strettamente correlato all’impianto previdenziale e contrattuale. Per questo per noi la disoccupazione agricola è così essenziale: nel produrre un’azione di tutela individuale, infatti, operiamo anche un’azione di tutela contrattuale verificando le applicazioni dei contratti ma anche le corrispondenze dei diritti previdenziali contrattati: malattia, infortunio e integrazione degli stessi, accredito contributivo e, in un settore così frammentato, spesso questa è l’unica occasione per poter contattare, dialogare, ascoltare i lavoratori e le lavoratrici agricole.

L'emergenza sanitaria in atto, ha interessato in modo specifico il settore agricolo, l’attività di coltivazione è stata inclusa tra quelle ritenute necessarie e, quindi, non soggette ai divieti imposti per le altre attività produttive e, così come per altri settori, le criticità occupazionali e produttive sono state risolte con la decretazione di emergenza, che ha garantito specifiche misure di sostegno sociale e interventi a tutela della liquidità delle imprese agricole.

Ma le misure emergenziali non sono la risposta giusta e duratura alle criticità, e quest’anno la pandemia ha reso evidenti alcuni limiti strutturali dell’impianto agricolo: l’assenza di un ammortizzatore vero e proprio o di uno strumento che attenui eventuali calamità, per questo la nostra categoria sta rivendicando fin dall’inizio della fase pandemica che ci sia, almeno per il 2020, il trascinamento delle giornate lavorate nel 2019. 

I lavoratori agricoli, infatti, sono colpiti due volte dalla pandemia: prima hanno subito il calo delle giornate di lavoro perdendo reddito e poi perderanno anche parte, se non tutta, la disoccupazione agricola, vedendo così compromesso l’accesso alla pensione e ai trattamenti di malattia e maternità. Per questi motivi secondo la Flai Cgil va riconosciuta la garanzia per gli operai agricoli a tempo determinato, in aggiunta agli effettivi giorni di lavoro prestati, di un numero di giornate utili al conseguimento delle stesse prestazioni assistenziali dell’anno precedente alla calamità, il cosiddetto trascinamento, estendendo la definizione “calamità naturali” a tutti gli eventi distruttivi per la produzione e l’occupazione, quali, gli stati emergenziali determinati da situazioni metereologiche, gli attacchi parassitari, le malattie che colpiscono gli animali (es. aviaria) e le coltivazioni (es. xylella), compreso quindi il Covid-19, stabilendo che sia il lavoratore e non il datore di lavoro a presentare la relativa domanda.

Inoltre la proposta mira a tutelare anche i lavoratori agricoli cosiddetti “fragili” che a causa di particolari situazioni legate a una patologia, all’età o ad altre fragilità, sono a rischio Covid-19, non possono superare la visita medica e pertanto non possono lavorare, ma non hanno alcun sostegno. La situazione determinata dalla emergenza epidemiologica e le ripercussioni pesanti sulla occupazione rendono anche necessario agire sul fronte della riforma previdenziale, dando una prospettiva certa rispetto alla possibilità di andare in pensione e comunque garantire una maggiore flessibilità in uscita, specialmente per coloro che per ragioni legate allo stato di salute sono più esposti al rischio contagio ma, complessivamente, ai lavoratori di settori come quello dell’agricoltura caratterizzato da lavoro usurante, discontinuo e da bassi salari.