Primo febbraio 2021. Gli operatori sanitari precari di Brindisi questa data se la ricorderanno per un bel pezzo. Sono 141. In maggioranza donne. Da questa mattina restano a casa. Senza stipendio. Contratto scaduto, niente rinnovo, tutti fuori e tante grazie. Hanno lottato contro il covid, sono stati chiamati eroi, hanno salvato l’ospedale dal collasso e sono stati trattati come carne da macello. L’80 per cento di loro ha contratto il virus. Molti di loro hanno contagiato i familiari. Molti di loro hanno ancora i postumi. Sfiniti. Precari storici. Che hanno aspettato 10 anni, dopo aver vinto un concorso nel 2009, per avere una chance. Poi sono scesi nella trincea della pandemia. Per resistere all’urto della prima ondata. E a quello della seconda, quando erano già sfiniti. E intanto hanno combattuto, con la Cgil e la Funzione pubblica provinciali al loro fianco, contro la direzione sanitaria, per ottenere una proroga, per sé stessi, per la propria dignità, perché lo meritavano, perché servirebbero in corsia, perché temono per i tanti malati di covid che ancora affollano l’ospedale, perché non vorrebbero mai lasciare soli i loro colleghi che da questa mattina invece saranno molto più soli. Si guarderanno intorno e scopriranno di essere 141 in meno.

Li hanno chiamati eroi, ma gli hanno dato il benservito come fossero scarti. Eroi al bisogno, si sono sentiti. Un Paese che non rispetta neanche i propri eroi, che avrebbe un disperato bisogno di personale sanitario e accompagna alla porta 141 professionisti forgiati nella lunga esperienza della pandemia, è un Paese con le idee confuse. Il resto è cronaca che lascia di stucco. Perché a questi 141 operatori sanitari è stato fisicamente impedito, l’ultimo giorno di lavoro, di entrare in ospedale per prendere gli effetti personali. Cacciati brutalmente.

“Dopo 10 anni di discriminazione. Dopo tanti sacrifici, è arrivata la notizia: finalmente avremmo potuto lavorare”. Inizia così la testimonianza video di una di loro, Elisabetta Carlà. “Ho avuto il covid. Ho sofferto. Sono stata per 15 giorni in terapia intensiva. E ora? Non ho avuto una medaglia e non la vorrei. Ma avrei voluto almeno un contratto di 36 mesi, come nel resto del Paese. E invece il nostro direttore ha deciso che non c’è più bisogno di noi. E intanto i nostri reparti sono sprovvisti di personale. I nostri pazienti come faranno? E noi? Come facciamo ad andare avanti? Non ci siamo tirati indietro. Non ci buttate in mezzo a una strada”.