Il Rapporto del Cnel sul mercato del lavoro scatta una fotografia impietosa dello stato dell'occupazione in Italia. I lavori sono sempre più frammentati e precari, mentre il lavoro dipendente a tempo indeterminato ha retto finora l'urto della pandemia solo grazie ad un ricorso eccezionale agli ammortizzatori sociali. Ma ora si avvicina la scadenza di marzo. Con la fine del blocco dei licenziamenti si potrebbe aprire scenari sociali molto pesanti. Lo chiediamo a Tania Scacchetti, segretaria confederale Cgil.

Segretaria, quale mercato del lavoro esce dalla pandemia?
E’ presto detto: un mercato del lavoro più fragile e ancora più diviso. La pandemia ha amplificato le diseguaglianze sia interne che esterne. Da una parte abbiamo infatti un mondo del lavoro ancora più frammentato con punte di grave fragilità, dall’altra la crisi ci sta allontanando dagli altri Paesi europei che hanno tassi di occupazione da tempo migliori dei nostri e hanno messo già in campo nuove politiche attive in grado di contrastare gli effetti economici della pandemia. Abbiamo capito quindi che è necessaria una rivoluzione delle priorità quando si parla di politiche dell’occupazione. E’ necessario anche nel contesto della costruzione di nuovi posti di lavoro cambiare i paradigmi dello sviluppo.
A proposito di aumento delle diseguaglianze abbiamo letto nel Rapporto del Cnel i dati sulla penalizzazione delle donne. Perché sono loro a pagare di più gli effetti della crisi?
I motivi sono diversi e si intrecciano. Per prima cosa è necessario capire che nei settori che hanno pagato di più la crisi (turismo, cultura, pulizie, ristorazione, commercio, ecc) le donne sono la maggioranza. Un altro motivo che ha penalizzato fortemente l’occupazione femminile riguarda la scelta tra lavoro e lavoro di cura famigliare. Sono quasi sempre le donne a dover rinunciare al lavoro per assistere famigliari. Terzo motivo della penalizzazione delle donne riguarda il fatto che esse sono spesso inquadrate nei settori del lavoro povero e precario che è quello più falcidiato. In questo senso stiamo assistendo ad un vero e proprio ritorno indietro nel processo di emancipazione femminile. Per questo il tema della occupazione femminile, come quella giovanile, deve essere al centro delle scelte politiche che si definiranno.

Nel Rapporto questi fenomeni sono ben evidenziati e si suggerisce alla politica un intervento riformatore. Di quali riforme abbiamo bisogno?
Ci sono una serie di azioni da avviare, ma bisogna concentrare prioritariamente gli sforzi per attivare investimenti pubblici e privati per creare posti di lavoro nuovi. Ci vuole per esempio un piano straordinario per l’occupazione a partire dai settori pubblici  e un piano per recuperare tutte le assunzioni perse soprattutto nei settori cruciali della sanità, dell’assistenza e dell’istruzione. Lo abbiamo detto più volte servono investimenti per creare nuovi grandi infrastrutture sociali. Dopo uno shock come quello che stiamo vivendo è necessario ridare un ruolo centrale allo Stato anche come grande generatore di occupazione. L’altro percorso riformatore riguarda gli ammortizzatori sociali che devono essere resi davvero universali. Con la pandemia abbiamo visto invece che siamo ancora molto distanti perché non sono stati salvaguardati i settori più fragili del mercato del lavoro. Un altro elemento che abbiamo imparato a conoscere riguarda le transizioni occupazionali che dobbiamo saper accompagnare. Si tratta poi di mettere in campo politiche e azioni per superare da un lato il problema del lavoro povero e dall’altro per affrontare le trasformazioni nel lavoro , a partire dalla crescita del lavoro autonomo con caratteristiche di dipendenza in tutti i suoi nuovi aspetti. Abbiamo poi bisogno di una sorta di disboscamento dei contratti legati solo alla flessibilità richiesta dalle imprese (stage finti, contratti a tempo indeterminato, ecc.). Dobbiamo cioè ribadire che la flessibilità non può essere l’unica leva del mercato del lavoro. Finora non si sono avviate queste riforme ma negli ultimi mesi noi abbiamo riscontrato un’apertura del governo verso le nostre proposte. E’ arrivato il momento di metterci mano per prepararci non solo al blocco dei licenziamenti (che noi chiediamo di prorogare) ma anche all’uscita dallo stato di emergenza.

Nella introduzione al Rapporto il presidente Tiziano Treu ripropone un concetto che sembrava ormai desueto, quello della continuità del rapporto di lavoro, ovvero della stabilità. Come si deve interpretare questa affermazione? E’ tramontata quell’epoca del “flessibile è bello”, “siamo tutti imprenditori di noi stessi”?
Il mito del merito e della libertà di scelta del lavoratore si è infranto in questi anni sulla condizione effettiva del mercato del lavoro. Ci sono state e ci sono tuttora evidenti distorsioni del sistema produttivo che da una parte chiede competenze che in alcuni momenti non ci sono, dall’altra continua ad espellere, non accogliere o non riconoscere  intelligenza e competenza. Il problema per i giovani è duplice, mentre nel suo complesso la base del mercato del lavoro risulta molto vecchia. Per questo è molto importante questa nuova attenzione alla stabilità occupazionale. Si tratta di ricominciare a conciliare diritti e competenze professionali. Da una parte sarà necessario indirizzare le scelte del legislatore anche verso una nuova regolazione del mercato del lavoro  ma dall’altra dobbiamo assumere tutto ciò come la nuova sfida della contrattazione. Si tratta prima di tutto di rompere il circolo vizioso di più flessibilità-più precarietà del lavoro - riduzione del costo del lavoro , come uniche  leve  competitive.
La stabilità dei contratti di lavoro si potrà quindi garantire da una parte con un nuovo protagonismo dello Stato e dall’altra con scelte di investimenti mirati nei settori della sostenibilità ambientale e dell’innovazione che devono poter garantire assunzioni, contratti stabili e lavoro di qualità.