A Rovigo c’è chi dice siano 400, chi 350. La sostanza cambia poco. Sono lavoratori precari che sgobbano per la catena Amazon. Sono i cosiddetti natalini, lasciati a casa tra il 20 dicembre e la fine delle feste. Un altro capitolo della illogica logistica. Una delle tante storie potrebbe esser quella di un uomo che, alla disperata ricerca di un impiego, accetta di trasferirsi dalla Sicilia alla provincia veneta per un contratto che va da metà ottobre 2020 al massimo fino al 6 gennaio, l’Epifania che quasi tutti i lavori di Amazon si porta via. La speranza di ognuno di loro, volti, mani, gente in carne e ossa, con il sogno di un futuro stabile e la paura della pandemia, come tutti noi, è di vincere alla lotteria, che sarebbe improprio chiamarla selezione, e vedersi rinnovato quel contratto precario, magari tirando fino a Pasqua, o, addirittura, fare bingo e ritrovarsi in tasca un indeterminato. In fin dei conti i manager di Bezos su Rovigo ne promisero, al taglio del nastro, 900 in tre anni. Prima o poi dovranno pur iniziare. Una buona fetta dei primi 200, ci racconta la Cgil, sono trasferimenti da Piacenza e persino dal Lazio, non nuove assunzioni. Per altro tutte figure medio alte e soprattutto alte. Ma tant’è, la speranza è l’ultima a morire. La realtà, quasi sempre, è che il giorno prima, se va bene, il giorno stesso, se va male, all’addetto viene comunicato che il contratto non sarà rinnovato. Da un minuto all’altro, il nostro siciliano si ritrova a Rovigo, senza più un lavoro, l’affitto da saldare e il ritorno a casa che assomiglia maledettamente al ritorno alla casella del via. Un gioco dell’oca in cui non sono previsti bonus.

L’inizio di questa illusione arriva con il famigerato Black Friday. Ai 200 stabili e ai 100 delle mense e pulizie se ne aggiungono circa 600, tutti precari. Molti di loro mog, monte ore garantito. Tanti di loro già non ci sono più. “Questo – commenta preoccupato il segretario della Camera del Lavoro di Rovigo, Pieralberto Colombo – ci preoccupa tantissimo. Perché il bacino dei precari diventerà sempre più ampio, anche geograficamente. Perché molti non potranno essere richiamati per le normative che mettono un tetto di durata ai contratti a termine. Molti non passeranno le selezioni Amazon, per altro discutibili nelle modalità. Molti altri mollano per le condizioni insopportabili. Così, al prossimo picco, saranno sempre di più quelli che arrivano da lontano, dalla Puglia, dalla Sicilia, dalla Calabria. Per approdare in un territorio che ha già evidenziato problemi grandissimi legati alla possibilità di trovare abitazioni e ai trasporti per e dallo stabilimento. Ecco perché insisteremo affinché le istituzioni locali chiedano all'azienda di contribuire a risolvere il problema in una logica di responsabilità sociale d'impresa. Considerando anche i proventi”. Al sindacato conoscono bene la situazione ora che fuori dagli uffici hanno la fila di quelli che cercano aiuto per richiedere la Naspi. Molti sono arrabbiati. Sfumata l’ultima illusione di vedersi confermati o, addirittura, stabilizzati, sono pronti a raccontare, senza peli sulla lingua, le condizioni di lavoro, spesso brutali.

Brutali come “quei fenomeni carsici – li chiama il segretario della Cgil provinciale – con cui chi può, in modi tutt’altro che regolari, specula sulla situazione. E quindi locazioni alle stelle, locali che affittano camper a 3 euro al giorno o offrono passaggi in macchina non proprio gratuiti. E, dall’altra parte, persino tre denunce di lavoratori che, scaduto il contratto, sono tornati a casa alla chetichella senza saldare l’ultimo periodo dell’affitto”. È il lavoro povero, ammette tristemente Pieralberto Colombo. Con tutto il suo corollario di miserie. I picchi di Amazon quasi come la stagione di raccolta nelle campagne. I precari sempre pronti, simili all’esercito di braccianti. Sta nascendo tutto questo all’ombra del colosso americano e della sua fortuna. Miliardi di dollari accumulati risparmiando sui diritti delle persone.