Sarà un caso oppure no, ma mentre in tutto il mondo lavoratrici e lavoratori Amazon protestano contro il colosso di Seattle, la multinazionale annuncia lo stanziamento di 500 milioni di dollari come gratifica natalizia per tutti i dipendenti della logistica. Il motivo sarebbe quel “lavoro straordinario” a cui sono costretti quest'anno, in occasione delle festività, per via dell'emergenza Covid.

In Italia ha spiegato Dave Clark, senior vice president delle Operations di Amazon, vuol dire che “i dipendenti del settore logistico e quelli dei fornitori, inclusi i corrieri che si occupano delle consegne di Amazon Logistics, che lavoreranno dal 1° al 31 dicembre, avranno diritto a un riconoscimento economico di 300 euro lordi, se impiegati a tempo pieno e a un importo riproporzionato, se lavorano con contratti part-time”.

Sembrerebbe un premio di produzione, ma è davvero così? Non proprio. E lo hanno spiegato bene i lavoratori che oggi hanno deciso di partecipare alla giornata di azione globale #MakeAmazonPay, indetta da UniGlobal Union e sostenuta nel nostro Paese dalla Cgil.

Ad ascoltarli pare proprio che sia un contentino per evitare di dover dare di più e, peggio ancora, dover sedersi a un tavolo a trattare con il sindacato.

In realtà è proprio il sindacato internazionale a spiegare perché quei soldi sono una goccia nel mare. Fatti due conti nelle tasche del multimiliardario Jeff Bezos, la segretaria generale di UniGlobal Union Christy Hoffman ha spiegato che i profitti di Amazon durante la pandemia, proprio grazie allo sfruttamento dei lavoratori e all’imposizione di turni massacranti e rischiosissimi sul piano della salute e della sicurezza, sono letteralmente esplosi, tanto che Bezos potrebbe concedere a ciascun lavoratore Amazon addirittura 105mila dollari e mantenere comunque la stessa ricchezza – già esorbitante – che aveva nel mese di febbraio.

Quindi ricapitolando. Amazon pagherebbe semplicemente per non pagare. Pagare davvero significa negoziare con i sindacati un salario equo e anche rispettare le condizioni di salute e sicurezza all’interno dei magazzini e non solo.  Insomma non basta che il padrone dall’alto conceda un premio, un'una tantum o un regalo di Natale da scartare sotto l’albero al costo di un esaurimento fisico e mentale o di malattie professionali o addirittura dell’eventuale contagio da Covid 19.

Pagare in questo caso è anche un escamotage. In Italia per esempio i sindacati chiedono al governo di defiscalizzare gli aumenti contrattuali. In Germania sono anni che le confederazioni si battono con l'azienda per aumenti salariali definiti attraverso la contrattazione collettiva. La linea di Amazon è: il padrone dà quanto e quando vuole. Senza regole né diritti. Pagare davvero invece vuol dire cambiare sistema.

E il sistema Amazon non tocca neanche solo i lavoratori. C’è il tema della sostenibilità ambientale. I numeri dicono che il sistema Amazon lascia un’impronta di carbonio superiore a quella di alcune Nazioni. Chi paga per il danno?

C’è il nodo della concorrenza sleale: non a caso un paio di settimane fa l’Unione Europea ha avviato contro la multinazionale una procedura di infrazione antitrust. La domanda in questo caso è: chi ripaga i piccoli venditori che vanno in bancarotta a causa della concorrenza sleale giocata da questo gigante digitale?

C’è la questione fiscale. Gli altissimi profitti del gruppo sono fatti a discapito delle risorse collettive perché si basano su una strategia mirata a pagare meno tasse possibili, fino a non pagarle affatto. E invece – denuncia ancora Christy Hoffman – Amazon è “campione di evasione” mentre lusinga il mondo con la logica del tutto e subito al prezzo più basso. Ecco a guardarlo bene quel prezzo non è poi così basso. E Amazon può - anzi deve - pagare di più.