“Scioperiamo a un anno esatto dal primo incontro avuto con Federmeccanica e Assistal per discutere il rinnovo. Era, infatti, il 5 novembre 2019. La posizione che gli industriali hanno oggi è esattamente la stessa di un anno fa, il Covid non c’entra proprio nulla”. La segretaria generale della Fiom Cgil, Francesca Re David, è molto netta: la trattativa per il contratto, scaduto ormai da dieci mesi, non si è mai davvero aperta. E si è “definitivamente” chiusa il 7 ottobre scorso, con lo strappo sul salario. Da qui la decisione dello sciopero generale di quattro ore del milione e mezzo di metalmeccanici, che appunto si tiene oggi (giovedì 5 novembre) con presìdi e manifestazioni in tutta Italia. Appuntamento a Roma, alle ore 10 in piazza dell’Esquilino, con Re David e i segretari generali di Fim Cisl (Roberto Benaglia) e Uilm Uil (Rocco Palombella). Previsti anche collegamenti audio e video con i sit-in delle diverse piazze per dare voce alle lavoratrici e ai lavoratori.

La mobilitazione di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil pone al centro, anzitutto, la difesa dell’occupazione e il rilancio dell’industria metalmeccanica, l'aumento del salario e il miglioramento del welfare, dei diritti e delle tutele. Altri temi dirimenti per i sindacati di categoria sono la salute e la sicurezza dei lavoratori, la stabilizzazione dell’occupazione precaria e l'introduzione della clausola sociale nei cambi appalto, il riconoscimento delle competenze professionali, la contrattazione dello smart working e della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

“Uno sciopero surreale” ha titolato un importante quotidiano nazionale, affermando che adesso servirebbe “la massima coesione tra aziende e sindacati affinché le fabbriche possano restare aperte nella più assoluta sicurezza”. Un appunto che andrebbe fatto agli industriali, certamente non ai sindacati. “Federmeccanica deve cambiare idea, deve rimuovere l’assurda pregiudiziale che non si può discutere di salario”, riprende Re David, rimarcando che “le imprese industriali si stanno riprendendo in modo molto forte: ci sono settori, ad esempio quello degli elettrodomestici, che stanno guadagnando come poche altre volte”.

Il salario, si diceva, è stato il punto di caduta della trattativa. Fiom, Fim e Uilm rivendicano un aumento dell’8 per cento sui minimi tabellari, pari a 145 euro per un lavoratore di quinto livello, mentre per Federmeccanica e Assistal non si deve andare oltre l’incremento previsto dall’Ipca (ossia l’Indice che misura l’inflazione) a consuntivo, quindi sui 40 euro lordi. “La nostra richiesta di una busta paga più pesante – continua la leader Fiom – non è soltanto un elemento di giustizia sociale, o un parziale risarcimento di un salario falcidiato dalla cassa integrazione, il tutto ovviamente aggravato dalla pandemia. Ma anche un fattore di ripartenza del Paese: il 50 per cento del mercato della metalmeccanica proviene dall’estero, e oggi il mercato estero è in forte difficoltà. Bisognerebbe puntare su quello interno, ma è bloccato dai bassi salari. L’aumento contrattuale, dunque, avrebbe come ricaduta positiva anche il più generale rilancio economico”.

Sul salario, dunque, si misura il valore che le imprese danno al lavoro. E la proposta di Federmeccanica sembra sconfortante, visto che l’aumento, al netto dell’inflazione, è pari a zero. “Gli industriali vogliono risolvere la questione con il mero automatismo dell’Ipca? A questo punto tanto vale affidare tutto a un comitato tecnico e finiamola qui”, suggerisce ironicamente Francesca Re David. Tornando seri: “Il salario è certamente il punto cardine, ma attorno ruotano altri temi altrettanto importanti, come la difesa dell’occupazione, la salute e sicurezza, la formazione, gli orari di lavoro”. Argomenti che si legano al rinnovo precedente, quello del 2016, che i sindacati denunciano come non rispettato.

“Il ccnl prevedeva un’estensione della contrattazione di secondo livello, e questo intervento è stato disatteso”, spiega Re David, rilevando come il danno sia stato ingente per tutti coloro che non godono appunto degli integrativi aziendali. Da qui, a maggior ragione, la richiesta di “aumentare i minimi salariali, soprattutto per coloro, come tantissimi lavoratori del Mezzogiorno, che hanno nel contratto nazionale il loro unico riferimento”. Anche la parte relativa alla formazione come diritto soggettivo, che era un pilastro del precedente rinnovo, è stata “largamente disattesa, le imprese hanno fatto poco o niente”.

In conclusione, torniamo al punto iniziale. “Federmeccanica si è detta disponibile solo a parole, la trattativa in verità non si è mai aperta”, dice la segretaria generale Fiom, ribadendo come “il no ad aumenti salariali, che è stata la molla scatenante dello sciopero, non nasce in seguito alla pandemia, ma c’era già da prima”. E ora che succederà? “Ora c’è lo stop di quattro ore, che le Rsu di moltissime aziende hanno portato a otto, assieme al blocco degli straordinari e delle flessibilità. Auspichiamo che Federmeccanica riveda la propria posizione, di certo i metalmeccanici non si fermano qui”.