La trattativa si è interrotta sul salario, questo è noto. Il 7 ottobre scorso Federmeccanica e Assistal hanno bloccato il confronto sul rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Il casus belli è stato l’aumento in busta paga: gli industriali hanno detto no alla ragionevole richiesta dei sindacati, concedendo soltanto il mero adeguamento legato all’inflazione. Il dialogo, però, fin dall’inizio (il primo vertice risale al 5 novembre 2019) si è dimostrato difficile. Una discussione tutta in salita, dunque, che ha visto finora 13 riunioni, 11 mesi di confronto e nove di vacanza contrattuale.

“Federmeccanica e Assistal non hanno mai affrontato il merito delle nostre rivendicazioni, la trattativa non è mai realmente decollata”, spiegano Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil. “L’incertezza determinata dalla crisi sanitaria, economica e sociale non può continuare a ricadere sulle lavoratrici e sui lavoratori, e il contratto è lo strumento in grado di dare certezze economiche e normative a tutti i metalmeccanici”, proseguono i sindacati, chiedendo “garanzia di diritti e salario reale per tutti”, in modo da “determinare la ripresa dei consumi e lo sviluppo di politiche di rilancio dell’industria, dell’occupazione e dell’innovazione organizzativa”.

Da parte di Federmeccanica e Assistal, rilevano le tre categorie, non c’è stata “alcuna disponibilità ad aumentare i minimi contrattuali oltre l’Ipca (ndr. l’Indice che misura l’aumento del livello generale dei prezzi, cioè l’inflazione al consumo) e confermano l'attuale meccanismo della rivalutazione dei minimi ex-post, a maggio dell’anno successivo”. Le imprese vogliono “un rinnovo contrattuale senza costi per sostenere la crisi del manifatturiero” e non hanno manifestato alcuna apertura “su tutti i temi che hanno un costo contrattuale”.

Fiom, Fim e Uilm rivendicano un aumento dell’8 per cento sui minimi tabellari, sull’indennità di trasferta e reperibilità, dopo aver verificato “l’andamento sperimentale del ccnl del 2016 sul salario e aver constatato che, negli anni di vigenza del contratto, non si è estesa la contrattazione di secondo livello, anzi in molte imprese ci sono disdette unilaterali degli accordi in vigore”. Per queste ragioni, chiedono anche di aumentare l’elemento perequativo a 700 euro e di estenderlo alle imprese senza premio di risultato.

Ma il dialogo tra industriali e sindacati, si diceva, è stato difficile fin dall’inizio. Sull’importante tema dell’inquadramento, Federmeccanica e Assistal “hanno messo in discussione gli automatismi previsti dal ccnl: scatti di anzianità e mobilità tra i livelli (2/3 per gli operai, 4/5 per gli impiegati)”. La richiesta sindacale era centrata sull’adeguamento delle declaratorie e dei profili professionali, e sul riconoscimento delle nuove competenze. Ma a causa della cancellazione degli incontri già calendarizzati per novembre, su questo punto “non ci sono risposte e non si è ancora svolto alcun confronto”.

Posizioni in contrasto anche sul diritto soggettivo alla formazione. Fiom, Fim e Uilm evidenziano che la formazione, che era uno dei punti più importanti del ccnl del 2016, è stata “largamente disattesa dalle imprese”. Federmeccanica e Assistal si sono dette “non disponibili al trascinamento delle 24 ore di formazione non svolte nel triennio precedente in questo contratto”, dichiarandosi contrarie alle richieste sindacali “di rendere esigibile il diritto in percorsi formativi per acquisire competenze digitali e concordati con la Rsu”. Inoltre, rimarcano i sindacati, propongono “di realizzare la formazione anche fuori dall’orario di lavoro”.

Mercato del lavoro e appalti sono un altro tema di forte opposizione. “Federmeccanica e Assistal non vogliono definire nel ccnl percentuali o limiti nel ricorso al lavoro precario o percorsi di stabilizzazione per dare maggiore stabilità ai rapporti di lavoro”, spiegano Fiom, Fim e Uilm, sottolineando come gli industriali respingano anche “le nostre richieste di introdurre clausole sociali e di garantire l’esercizio dei diritti sindacali per le lavoratrici e i lavoratori degli appalti”.

Diversità di vedute pure su temi dirimenti come l’orario e la conciliazione vita-lavoro. Gli industriali “non hanno manifestato alcuna disponibilità sulle riduzioni di orario a tutela dell’occupazione a fronte delle innovazioni tecnologiche o al maggiore utilizzo degli impianti, perché non sono disponibili a sostenere costi aggiuntivi”, chiedendo invece “garanzie di maggiore flessibilità per rispondere al mercato”. Riguardo allo smart working, le imprese non intendono “intervenire sulla parte normativa del ccnl”, bensì puntano a regolare lo strumento “solo con la normativa emergenziale legata al Covid-19”.

Disaccordi, infine, si registrano anche sulla sicurezza sul lavoro (con le imprese che “hanno presentato un ‘conto’ sui costi sostenuti per applicare le misure anti-Covid e imputato un ulteriore ‘costo’ per l'indennità sul terzo turno dovuta all’aumento della turnistica necessaria al distanziamento”), sulle politiche attive (la richiesta sindacale di “garantire l'occupazione attraverso piani sociali e soluzioni condivise per evitare i licenziamenti viene risolta da Federmeccanica e Assistal con il ricorso agli ammortizzatori sociali”) e sulle patologie gravi (Fiom, Fim e Uilm denunciano che le imprese hanno “respinto le nostre richieste di una maggiore tutela per i lavoratori”).