Aspettano da mesi il fondo di solidarietà bilaterale, ammortizzatore sociale equiparato alla cassa integrazione da Covid-19. Artigiani di tutta Italia che nella maggior parte dei casi hanno percepito marzo e aprile, i primi due mesi di chiusura delle attività economiche, poi più niente. 160mila in Lombardia, 23mila nel Lazio, 100mila in Toscana, solo per snocciolare qualche numero. Sono parrucchieri, panificatori, addetti del settore della meccanica, chimica, comunicazione, legno, moda, tessile, pulizia, autotrasporto. I lavoratori in attesa sono tantissimi, e ogni settimana si illudono che sia la volta buona, quella del pagamento. E invece no. Il motivo? Troppa burocrazia e un accumulo di ritardi nell’erogazione. 

Il fondo nazionale bilaterale Fsba, cioè la cassa artigiani, ente di recente costituzione nato nel 2016, ha fatto fronte alle richieste arrivate nei primi giorni dell’emergenza con risorse proprie, ma a maggio ha esaurito i fondi. Quindi ha dovuto attendere l’erogazione dei finanziamenti stanziati dal governo, che però hanno dovuto seguire una trafila lunga, con rimpalli tra ministero dell’Economia, Corte dei conti e Ragioneria dello Stato che hanno bloccato il sistema. Un cortocircuito della macchina burocratica, alimentato da controlli e pre-controlli, che solo nei giorni scorsi sembra essersi risolto.

I fondi del governo, però, 375 milioni di euro stanziati sui 420 stimati che servono, nelle casse del Fsba non sono ancora arrivati. E quindi neppure nelle tasche dei lavoratori. “Stiamo parlando delle mensilità di maggio, giugno e luglio – afferma Mirko Lami, segretario regionale Cgil Toscana, che ha annunciato una manifestazione unitaria a ottobre se la situazione non si risolverà -. Ma poi ci sono le integrazioni di agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre che saranno da pagare: chiediamo di tagliare la burocrazia, efficientare il processo di rendicontazione e al governo di anticipare i soldi. Questa situazione è insostenibile, migliaia di famiglie devono poter mangiare”.

In questi mesi i lavoratori e le lavoratrici hanno fatto ricorso ai propri risparmi, a prestiti e, nelle migliori delle ipotesi, ad anticipazioni dei datori di lavoro, ma adesso non hanno più risorse. “Mi sto facendo aiutare da mio padre, soprattutto per pagare il prestito che ho contratto per l’acquisto dell’auto, altrimenti come avrei potuto fare?” racconta Alessandro Chiacchia, 39 anni, aiuto pasticcere della Brianza. È in cassa integrazione dal 10 marzo, oltre a due mensilità ha preso i 100 euro del bonus Renzi che, teme, “a fine anno dovrò restituire perché non avrò raggiunto il minimo di 8mila euro di reddito. Intanto sto intaccando i pochi risparmi che avevo da parte. Ma cassa integrazione a parte rimane la tagliola del 31 dicembre: quando finirà il blocco dei licenziamenti, cosa ne sarà di noi?”.

 


Produzioni che non ripartono, o che lo fanno a scartamento ridotto, commesse che non decollano. Le imprese artigiane rappresentano un settore fondamentale in Italia dal punto di vista economico e occupazionale e tuttora sono in grande difficoltà. “Noi produciamo sandali, per lo più per gli Stati Uniti. Ma con la situazione attuale è tutto fermo – dice Katy Paganucci, 49 anni, dipendente di un calzaturificio di Lucca -. Siamo a casa da marzo, dopo la cassa integrazione di aprile non abbiamo visto più un soldo. E questo non è giusto. Ho sempre lavorato, fatto la mia parte, mai un ritardo, sempre in linea con i ritmi sostenuti del processo produttivo, neppure la possibilità di una pausa. La mia attività è pesante. E adesso voglio quello che mi spetta, per me e la mia famiglia. Ho figli grandi che devo e voglio aiutare, e con lo stipendio del mio compagno non ce la facciamo”.

 


I dipendenti degli artigiani non sono gli unici a ritrovarsi in questa situazione. Ci sono i lavoratori di bar e ristoranti, alberghi, ristorazione collettiva, gli addetti del turismo di aziende con meno di 50 dipendenti come le agenzie di viaggio e del terziario escluso il commercio. “Tutti lavoratori che hanno il fondo di integrazione salariale dell’Inps, i cui pagamenti sono fermi a maggio – spiega Luca De Zolt, di Filcams Cgil -. Il governo ha finanziato una causale Covid del fondo, per la fase straordinaria che stiamo vivendo, ha reso possibile l’erogazione anche degli assegni familiari, ma i ritardi ci sono. Nelle realtà grandi, nazionali, il datore di lavoro nella maggior parte dei casi ha anticipato le somme degli ammortizzatori, ma nelle piccole non è così. I ritardi sono strutturali del sistema ed è per questo che come sindacato chiediamo una riforma complessiva”.

Anche questi lavoratori avranno la copertura dell’ammortizzatore fino a Natale, ma poi non ci sarà più niente. La speranza è che il traffico aereo, la ristorazione, il turismo nel frattempo riescano a ripartire, altrimenti alla fine dell’anno scatteranno i licenziamenti. “Ci aspettiamo la batosta – conclude De Zolt - perché la vera ripresa sarà più avanti. E allora ci sarà un’altra emergenza, questa volta occupazionale”.