Nel giorno dell’ennesimo presidio delle lavoratrici e dei lavoratori delle strutture private accreditate del Lazio, questa mattina sotto la sede Aris di Roma, la presidente di Aiop Lazio, l’associazione laica degli imprenditori della sanità privata, smentisce la sua stessa delegazione rinnegando i contenuti dell’accordo raggiunto con la preintesa del 10 giugno, con cui si definivano gli aumenti tabellari del personale sanitario. Gli stipendi sono fermi a 14 anni fa, e un avanzamento di tutele e diritti, primo passo per riequilibrare le tante disparità esistenti rispetto ai colleghi del pubblico.

“Quanto affermato dalla dottoressa Faroni aggrava l’atteggiamento assunto dalle parti datoriali rispetto alla sigla del contratto. Oltre alle garanzie economiche da parte delle istituzioni pubbliche, che hanno confermato la copertura del 50% delle risorse necessarie al rinnovo, secondo la presidente Faroni il welfare aziendale dovrebbe essere alternativo all’aumento dei salari. Già questa è un’offesa alla dignità dei lavoratori: forse non sa cosa vuol dire mantenere vita, figli e famiglie con lo stipendio derivante dal proprio lavoro. Salari bloccati da 14 anni significano un impoverimento netto, rispetto all’aumento del costo della vita registrato nel medesimo periodo. È vergognoso che per interessi di gruppo e personali si tengano in ostaggio i lavoratori e si neghi loro il più basilare dei diritti: l’equa corresponsione economica rispetto alla professione svolta. Quanto rispetto abbia del lavoro e quanto poco attendibile sia la sua posizione lo dimostra il fatto che, nelle strutture del suo gruppo, per alcuni servizi dati in subappalto a cooperative si applicano contratti non siglati né dalle confederazioni sindacali, né dalla stessa Aiop. Evidentemente la visione del lavoro è arretrata al limite della schiavitù. I lavoratori non hanno diritto a una vita dignitosa”. Così Giancarlo Cenciarelli, Fp Cgil Roma Lazio, Roberto Chierchia, Cisl Fp Lazio, Sandro Bernardini, Uil Fpl Roma e Lazio.

“Da quanto scritto nella preintesa non si torna indietro: si può discutere di welfare unicamente come risorsa aggiuntiva. Mettano più soldi su bonus integrativi, ma garantiscano gli aumenti salariali su cui si è trovato l’accordo. Un buono acquisto non sostituisce l’aumento tabellare, che deve essere regolato dal contratto nazionale. Il salario non è un benefit, è un diritto costituzionale. Pensarla diversamente è un insulto a ogni lavoratore, e qui si parla di operatori sanitari, che rischiano la vita ogni giorno per la salute di tutti e rendono possibile l’efficienza delle  strutture private per cui lavorano, quindi i loro stessi profitti”, proseguono i segretari generali.

“Ci auguriamo che cambi radicalmente la posizione complessiva delle parti datoriali rispetto alla sigla del contratto. Ricordiamo ancora che è la prima volta che in Italia non si ratifica  un contratto su cui già c’è stata intesa. Chi è abituato a smentire se stesso e a gettare fumo negli occhi, per non assumersi responsabilità non può avere credibilità né essere ritenuto affidabile. Ora è il momento che tutte le istituzioni intervengano, ponendo seriamente la questione dei requisiti fondamentali per continuare a svolgere servizio pubblico in accreditamento. Regole imprescindibili da rispettare, a partire dall’applicazione di un contratto nazionale di riferimento, adeguatamente rinnovato, che riconosca diritti, salari e tutele a tutti i lavoratori. Se Aiop Lazio continuerà su questa linea e continuerà a rifiutarsi di firmare il contratto, porteremo la voce dei lavoratori, forte, sotto le finestre dell'AIOP Lazio e della sua presidente”, concludono Cenciarelli, Chierchia e Bernardini.