Hanno curato i nostri malati e portato il cibo sulle nostre tavole. In pieno lockdown. Medici, infermieri, addetti dell’industria alimentare sono stati gli essenziali per definizione. Lo abbiamo scritto, lo abbiamo detto. Poi qualcuno per profitto “se lo è dimenticato”.

Contratto e vergogna. Prendiamo in prestito le parole della segretaria dei pubblici della Cgil, Serena Sorrentino, per raccontare il paradosso nel quale i padroni hanno gettato oltre 100 mila operatori della sanità privata e centinaia di migliaia di addetti dell’industria alimentare. Gli eroi. Definiti essenziali ieri, nel clima di concordia sociale che ha accompagnato la lotta serrata al coronavirus, scaricati oggi senza tanti complimenti.

Senza precedenti lo schiaffo ai dipendenti delle strutture sanitarie accreditate, con un contratto fermo al palo da 14 anni. Alla preintesa di quello nuovo, firmata il 10 giugno, Aris e Aiop, le due associazioni datoriali, non hanno dato seguito, ignorando i termini di fine luglio per la stipula definitiva. Vergogna, ha tuonato al presidio di mercoledì mattina a Montecitorio la leader della Funzione pubblica, ripercorrendo le fila di un decennio e mezzo vissuto pericolosamente. Dove i lavoratori di serie B, nonostante il loro ruolo fosse cruciale quanto quello dei colleghi del pubblico, hanno fatto sacrifici per resistere. Mentre qualcun altro, “i prenditori di soldi pubblici per fare profitti privati”, mandava i propri figli nelle migliori università del mondo. In prima linea contro il virus dei virus, i lineamenti stravolti dalla stanchezza e dalle mascherine, serrate sulle bocche per turni di 15 ore, senza bere e mangiare, senza andare in bagno perché spogliarsi aumentava il rischio del contagio, lontani dalle famiglie, si sono ritrovati con un pugno di mosche.

Una storia paradigmatica, entrata di prepotenza nella questione della proroga del blocco dei licenziamenti, un braccio di ferro tra sindacati, governo e Confindustria che fa traballare il tavolo. In una polveriera sociale che potrebbe saltare in aria, questa misura che, se confermata fino al 31 dicembre, terrebbe tutti i lavoratori dentro, rischia uno stop variabile, secondo le ultime notizie sul Dl Agosto e il consiglio dei ministri di oggi, in alcuni casi a metà novembre con una cassa integrazione articolata, dando comunque la stura a una lista infinita di esuberi su tutto il territorio nazionale e in molti i settori, benzina sul fuoco di una crisi sanitaria che è già diventata emergenza economica. Confindustria ricatta, Palazzo Chigi tentenna e i grandi giornali danno la linea: tutti concordi anche stavolta, bloccare i licenziamenti fino a fine anno “non è una buona idea”. Inequivocabile la risposta di Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Pierpaolo Bombardieri: se non cambiate posizione, il 18 settembre sarà sciopero generale. E sarebbe il fischio d’inizio di una partita più dura degli scontri che la stanno precedendo.

Perché gli altri essenziali presi a pesci in faccia rischiano di essere gli operai dell’industria alimentare. Quelli che a marzo e aprile uscivano di casa nel deserto del lockdown per andare in fabbrica e stare sulle linee con poche mascherine e tanta confusione. Protagonisti di una stagione per il rinnovo coincisa con l’investitura di Carlo Bonomi, il nuovo presidente degli industriali, campione dello scontro sociale, salito al comando aggiornando tutto l’armamentario tradizionale: basta con i contratti nazionali, i lavoratori rinuncino alle ferie d’agosto, il covid non sia considerato infortunio sul lavoro. Il risultato è, anche per gli alimentaristi, un paradosso: il rinnovo firmato il 31 luglio rischia di essere impallinato dalle aziende che non lo applicano e che rientrano nell’area di rappresentanza delle associazioni datoriali che non l’hanno sottoscritto. Anche qui i sindacati in trincea hanno annunciato a partire dal 24 agosto un primo pacchetto di iniziative di mobilitazione consistenti nel blocco, per tre settimane, di flessibilità, straordinari e prestazioni aggiuntive e il segretario della Flai, Giovanni Mininni, è stato chiaro: “Il contratto rinnovato vale per tutti, nonostante le enormi e indebite pressioni di una scatenata Confindustria durante la trattativa”.

Un destino che presto potrebbe investire altri settori. Dai metalmeccanici che, durante il lockdown, hanno tenuto vive le produzioni cui la macchina sanitaria e il sistema Paese non potevano rinunciare e oggi sono in piena trattativa per il rinnovo, agli appalti delle pulizie. Anche loro potrebbero ritrovarsi presto a soccombere nella logica perversa dell’oggi a me e domani sempre a me che da oltre un decennio penalizza i lavoratori italiani, passati dalla padella della crisi del 2008 alla brace di quella attuale, senza un briciolo di tutela e prospettiva. Che neanche le firme dei padroni su intese o preintese sembrerebbero valere più niente. In questo mondo del lavoro senza garanzie dove scompare persino il nero su bianco.