Il 3 dicembre 1906 viene firmato ufficialmente a Torino il primo contratto collettivo di lavoro tra la Società automobilistica Itala e la Fiom. Si tratta di uno dei primi significativi esempi di accordo collettivo in Italia. Sancisce il riconoscimento delle Commissioni interne, dei minimi salariali, delle 10 ore giornaliere su 6 giorni settimanali, della clausola del closed shop per l’assunzione dei lavoratori iscritti al sindacato che funge da ufficio di collocamento (il codice civile del 1865 prevedeva il ‘divieto di stipulare contratti a vita’ per evitare la costituzione di rapporti che possano richiamare la schiavitù. Il codice però non disciplinava il lavoro industriale).

Nel primo congresso dopo la guerra la Fiom conta 47.192 iscritti e 102 sezioni. Meno di un anno dopo, il 20 febbraio 1919, la Federazione firma con la confederazione degli industriali un accordo per la riduzione di orario a 8 ore giornaliere e 48 settimanali (l’accordo prevede tra l’altro il riconoscimento delle Commissioni interne e la loro istituzione in ogni fabbrica; la nomina di una commissione per il miglioramento della legislazione sociale e di un’altra per studiare la riforma delle paghe e del carovita).

Recita tra l’altro l’accordo: “Con l’approvazione avvenuta del regolamento unico per tutte le Officine meccaniche, navali e affini, l’orario di lavoro viene ridotto rispettivamente da 55, 60 a 48 settimanali come indicato dall’art. 6 del Regolamento stesso. Per gli stabilimenti siderurgici tale orario viene ridotto da 72 a 48 ore, con l’adozione dei tre turni, come stabilito dall’art. 6 del regolamento unico per gli stabilimenti stessi. Tali orari dovranno essere attuati non oltre il 1° maggio per le officine meccaniche, navali ed affini e non oltre il 1° luglio per gli stabilimenti siderurgici” (con il Regio Decreto 692 del 1923 - poi convertito nella legge 473 del 17 aprile 1925 - l’orario di lavoro massimo di 8 ore giornaliere o 48 settimanali viene esteso a tutte le categorie. Lo stesso provvedimento si preoccupava di fissare dei limiti anche al lavoro straordinario, rispettivamente in 2 ore giornaliere e 12 ore settimanali).

Il ccnl sarà ufficialmente introdotto nella legislazione italiana durante il ventennio fascista, con la promulgazione della Carta del Lavoro del 21 aprile 1927 acquisendo però valore giuridico solo anni dopo, dal 1941 quando fu inserito tra i principi generali dell’ordinamento giuridico, con valore non precettivo ma interpretativo delle leggi vigenti (nonostante non avesse valore di legge o di decreto, non essendo allora il Gran consiglio organo di Stato ma di partito, il testo della carta sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 100 del 30 aprile 1927. Nel 1942 la Carta del Lavoro sarà inserita come premessa e prefazione del codice civile appena modificato).

Recita l’articolo 3 della Carta: “L’organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori per cui è costituito: di tutelarne, di fronte allo Stato e alle altre associazioni professionali, gli interessi, di stipulare contatti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli aderenti alla categoria, di imporre loro contributi ed esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico”.

Ribadisce l’art. 4: “Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà tra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione”. Sancisce infine l’art. 11: “Le associazioni professionali hanno l’obbligo di regolare, mediante contratti collettivi, i rapporti di lavoro fra le categorie di datori di lavoro e di lavoratori che rappresentano. Il contratto collettivo di lavoro si stipula fra associazioni di primo grado, sotto la guida e il controllo delle organizzazioni centrali, salva la facoltà di sostituzione da parte dell’associazione di grado superiore, nei casi previsti dalla legge e dagli istituti. Ogni contratto collettivo di lavoro, sotto pena di nullità, deve contenere norme precise sui rapporti disciplinari, sul periodo di prova, sulla misura e sul pagamento della retribuzione, sull’orario di lavoro”.

In realtà i contratti collettivi nazionali saranno quasi sempre stipulati con grande ritardo e le leggi di tutela sui posti di lavoro, specialmente nelle piccole e medie imprese, rimarranno largamente disattese. La Costituzione della Repubblica italiana, approvata dall’assemblea costituente il 22 dicembre 1947, promulgata da Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, il 27 dicembre 1947, e pubblicata nella Gazzetta ufficiale 27 dicembre 1947, n. 298 (edizione straordinaria) entrerà in vigore il 1° gennaio 1948.

“Il diritto di associazione - sosterrà Giuseppe Di Vittorio in apertura del suo intervento alla Assemblea costituente (terza sottocommissione) sull’ordinamento sindacale - è senza dubbio fra i diritti fondamentali del cittadino e una delle espressioni più chiare delle libertà democratiche. Il diritto di associazione è anzi il presidio più sicuro della libertà della persona umana, la quale tende in misura crescente a ricercare la via del proprio sviluppo, della propria difesa e di un maggiore benessere economico e spirituale, specialmente nella libertà di coalizzarsi con altre persone in aggruppameli sociali, professionali, cooperativi, politici, religiosi, culturali, sportivi e di ogni altro genere, aventi interessi od ideali comuni od affini. Perché la Costituzione della Repubblica italiana sia adeguata alle nuove esigenze poste dallo stadio attuale dell’evoluzione storica del nostro paese, nel quadro di quella europea mondiale, occorre che la Costituzione italiana sancisca nel modo più chiaro il diritto pieno di associazione, che si compendi nella libertà delle varie organizzazioni di sviluppare liberamente la propria libertà, per la realizzazione dei propri scopi rispettivi, nei limiti fissati dalle leggi. Tale diritto deve essere riconosciuto a tutti i cittadini di ambo i sessi e di ogni ceto sociale, senza nessuna esclusione”.

La Costituzione della Repubblica affronta il tema del lavoro (il termine “lavoro” non compariva mai nello Statuto del 1848) essenzialmente nella prima parte - principi generali: artt. 1, 2, 3 e 4 - e nel titolo III - rapporti economici, artt. 35-40 e 46 - , oltre a contenere alcuni riferimenti distribuiti in altri articoli. Recita l’art. 39: “L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. E’ condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

Nei fatti però, nel corso di tutti gli anni ’50, il ccnl rimarrà lettera morta, cambiando gradualmente la situazione a partire dagli anni Sessanta e raggiungendo la sua portata massima durante l’autunno caldo. Solo nel 1969 erano interessati al rinnovo dei contratti oltre 6 milioni di lavoratori: di questi 2.380.000 sono metalmeccanici, chimici ed edili. Ad essi si aggiungevano un milione e mezzo di braccianti e salariati fissi. Da allora a oggi il rinnovo del contratto nazionale è il principale strumento di contrattazione dei salari e della condizioni di lavoro, oltreché la base dell’unità materiale di lavoratrici e lavoratori  di tutto il Paese.

Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale