Si apre la nuova stagione dei rinnovi contrattuali nell'Italia segnata dal Covid. Nel contesto della crisi attuale al centro della discussione c'è il ruolo del contratto nazionale, insieme alla necessità di dare aumenti ai dieci milioni di lavoratori che aspettano il rinnovo. Ne abbiamo parlato con il presidente di Confapi, Maurizio Casasco.

La Confapi ha una tradizione di relazioni industriali positive, che portano a firmare accordi con i sindacati. Qual è il valore oggi del contratto nazionale? Ha ancora una sua centralità o - come sostengono alcuni - si può considerare superato?

Il contratto nazionale ha una funzione di regia, è un quadro, una garanzia. Noi sottoscriviamo dal 1947 contratti collettivi di lavoro nei più importanti settori produttivi esclusivamente con le principali organizzazioni sindacali – Cgil, Cisl, Uil – e da oltre settant’anni contemperiamo le esigenze delle nostre industrie con quelle dei lavoratori. Le nostre istanze sono diverse da quelle della grande industria e delle multinazionali: è per questo che i nostri contratti hanno una precisa tipizzazione e nel corso del tempo si sono adeguati ai mutamenti del mercato del lavoro. Proprio grazie ai contratti siamo riusciti in questi anni a creare un sistema di enti bilaterali ampio e solido – sono otto con Cgil, Cisl e Uil – che, con prestazioni e servizi innovativi, integrano e talvolta suppliscono alle carenze del welfare statale. Poi durante l’emergenza Covid siamo riusciti ad allargare il ventaglio delle prestazioni, integrandole con interventi specifici per imprese e lavoratori. La centralità dei contratti nazionali quindi deve essere il punto di partenza per una nuova stagione della rappresentanza.

Stiamo vivendo nell'Italia del Covid. Per ripartire è fondamentale sostenere la domanda interna. Quanto contano gli aumenti salariali nei contratti?

Noi abbiamo già avanzato la proposta di rendere strutturale la detassazione degli aumenti retributivi definiti a livello di contrattazione nazionale. Con questa misura si prevede lo scorporo dell’aumento contrattuale rispetto al reddito imponibile che, nel triennio di vigenza del contratto, risulterebbe al netto di tasse e oneri. Seguendo un tale percorso, il gettito annuale dell’Inps non subirebbe variazioni rispetto agli anni precedenti, gli aumenti andrebbero direttamente a beneficio dei lavoratori, crescerebbero i consumi, la domanda e il mercato interno.

In Italia esistono circa 400 contratti pirata, secondo gli ultimi dati del Cnel. Qual è la ricetta per combatterli?

Occorre una nuova stagione della rappresentanza. I contratti pirata sono frutto dell’eccessiva frammentazione degli interessi. Bisogna intervenire per interrompere la proliferazione di contratti sottoscritti tra organizzazioni, sia datoriali sia sindacali, che ben poco o nulla rappresentano. Noi siamo, insieme con Confindustria, le uniche organizzazioni datoriali ad aver sottoscritto con Inps e Ispettorato nazionale del lavoro una convenzione che dà attuazione all’accordo sulla rappresentanza, per certificarne il valore e il peso reale.

Voi rappresentate le piccole e medie imprese, il cuore del nostro tessuto produttivo. Com'è la situazione nella crisi attuale? Quale la ricetta per ripartire? Il governo sta facendo abbastanza?

Il governo sta dando delle risposte. È mancato qualcosa nella prima fase, quando da subito abbiamo chiesto più sostegni a fondo perduto per le imprese e meno burocrazia. L’accordo raggiunto in Europa è però un risultato importante, adesso bisogna metterlo in atto. Stiamo lavorando, con il nostro ufficio studi e con prestigiosi esperti, per elaborare un piano di priorità per il nostro sistema produttivo. Proporremmo al governo di inserirle nelle iniziative che saranno prese allo scopo di utilizzare nella maniera più proficua le risorse che arriveranno dall’Europa.