Si allarga la forbice tra uomini e donne sul lavoro. Anche a Bergamo. “Sono molti gli indicatori, purtroppo peggiorati con il Covid, che evidenziano la necessità di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo di efficaci politiche di conciliazione vita – lavoro per ridurre il gap di genere nel mercato del lavoro e per rendere più equa la distribuzione del tempo impiegato in azioni di cura e per le quotidiane attività domestiche tra uomini e donne”. A dirlo, in una dichiarazione congiunta, Gianni Peracchi, segretario generale della Camera del Lavoro e Luisella Gagni, segretaria confederale.

I dati li conosciamo bene, li abbiamo letti in molte altre realtà del nostro Paese. Fino a poco tempo fa la paga oraria media del settore privato era di 15,10 euro per gli uomini e di 13,37 per le donne, differenza significativa che si aggiunge a quella, maggiore, di tempo di lavoro. Questo gap si riflette, ovviamente, anche sulle pensioni, dove le disparità illustrate dalle cifre del 2018 sono anche peggiori. Tra i pensionati bergamaschi over 65 anni solo il 9,4 per cento percepisce meno di mille euro lordi al mese a fronte di un rotondo 40,2 per cento delle pensionate.

L’Italia e Bergamo in particolare, si legge nel comunicato, si distinguono storicamente per un’asimmetria nella divisione dei ruoli all’interno della coppia. Questo anche a causa della presenza di un modello di welfare piuttosto diffuso (specie per quanto riguarda i servizi all’infanzia e la non autosufficienza), che si caratterizza per un’offerta di servizi pubblici di cura ridotta e la forte attribuzione di responsabilità diretta alla famiglia. La percentuale di utenti dell’asilo nido (10,9%) sul totale della popolazione di riferimento (0 - 2 anni), rilevata qualche tempo fa nella provincia di Bergamo, era molto bassa se confrontata con la maggior parte delle province lombarde. Ed un modello di welfare “caricato” prevalentemente sulla famiglia tradizionale, la cui struttura è profondamente mutata rispetto a pochi decenni or sono, rischia di essere troppo debole.

Per riequilibrare lo stato dei diritti servono investimenti, poiché il percorso di inclusione al lavoro delle donne si è fatto ancora più difficile. “Anche per questo – hanno detto i due dirigenti sindacali – i principi della work-life balance, emanati all’interno dei 20 pilastri europei dei diritti sociali del 2017, vanno concretizzati rapidamente e devono costituire una delle priorità nei piani di investimento nazionali finanziati dai fondi europei. Intervenire sull’organizzazione flessibile al lavoro, sul sistema dei congedi, sui servizi di assistenza, sullo sviluppo delle pari opportunità anche nell’ambito della famiglia diventa davvero strategico. In conclusione possiamo dire che ridurre, fino a superarle, le differenze di genere, ed incrementare le quote di occupazione femminile (e giovanile) non può che agevolare un reale progetto di ripresa economica e di crescita demografica, paritaria, del nostro paese e del nostro territorio”.