Le immagini patinate del video scorrono veloci, soffermandosi sulla qualità dei tessuti, la brillantezza dei colori, il raffinato design, la finitura degli abiti. Il soggetto protagonista è Corneliani, la prestigiosa casa di moda mantovana, che vanta settant’anni di attività, divenuta famosa nel mondo per le sue giacche, che competono con le griffe del livello di Armani, Zegna, Canali. Un brand di eccellenza, dunque, simbolo dell’eleganza sartoriale made in Italy, in continua espansione sui mercati, con sedi all’estero in tutte le principali città (Parigi, Londra, Berlino, Amsterdam, New York, e poi ancora Cina, Giappone, ecc), oltre a quelle in Italia, per un totale di 1.200 addetti (circa 800 fanno parte dell’indotto, concentrati fra Mantova, Verona e Vicenza), dei quali 470 appartenenti alla sede originaria (dove oltre l’80% sono donne, con un’età media di 45-50 anni). Non ci sono segnali di cedimenti apparenti, quindi, almeno fino a quattro anni fa.

Quando, nel giugno 2016, il vecchio patriarca di famiglia, Carlo Alberto Corneliani, decide di passare la mano e di vendere le sue quote (equivalenti al 49% del pacchetto azionario). “Lì sono cominciati i guai - ammette Gianluca Faccioli, delegato Rsu Filctem Cgil alla Corneliani -. Con l’arrivo del fondo del Bahrein, Investcorp, si sono modificati gli assetti societari, portando gli arabi, nel breve volgere di un anno, a detenere la maggioranza del gruppo”. “A dir la verità - sostiene Michele Orezzi, segretario Filctem Mantova -, l’azienda, al pari di tutto il segmento dell’abbigliamento di lusso, aveva cominciato a perdere colpi e a scontare contrazioni sul mercato già negli anni precedenti, per via dell’affermazione del casual, di un modo di vestire più informale, diffuso soprattutto fra i giovani. Ma, indubbiamente, nel caso Corneliani ha pesato soprattutto la cattiva gestione interna degli ultimi anni , la guida di manager non altezza, con un avvicendamento continuo di amministratori delegati - tre nell’arco di quattro anni -. Alla fine, si è creata un’instabilità direzionale, che ha portato a una maggior flessione produttiva dell’azienda: si calcola un meno 8% rispetto a un meno 4 delle altre case di moda concorrenti. Mentre, in termini di fatturato, il gruppo ha perso circa il 20% in tre anni. E così l’obiettivo di trasformare un’azienda di vecchio stampo padronale in una con caratteristiche manageriali più moderne è fallito”. Altra causa del declino, gli innumerevoli screzi e incomprensioni sorti fra vecchi e nuovi proprietari.

“Di sicuro, con l’arrivo del nuovo azionista, non abbiamo fatto il salto di qualità sperato - osserva Faccioli - . Anzi, al contrario, ci sono stati una serie d’interventi sbagliati da parte di un management rivelatosi inadeguato e perdipiù strapagato. Anziché investire nel rilancio dell’azienda, hanno sperperato tanti soldi, con avvicendamenti continui di dirigenti. Poi, hanno pesato i dissidi interni fra vecchi e nuovi soci, sfociati in due cause intentate dalla famiglia degli eredi Corneliani contro gli sceicchi nell’arco di tre mesi, con la motivazione di gravi irregolarità riguardo alla gestione generale del gruppo: in entrambi i casi, le sentenze si sono rivelate un boomerang  per i soggetti che le hanno intentate”. Si arriva al 6 novembre 2019, quando i sindacati vengono convocati all’improvviso dall’azienda.

“Ufficialmente, l’incontro era stato fissato per parlare del nuovo piano industriale - precisa Orezzi -. In realtà, ci comunicano la decisione di voler procedere a 130 esuberi nella sede di Mantova, pari al 25% della forza lavoro. Fine delle trasmissioni, ammoniscono. Questo vale anche per noi, rispondiamo, annunciando una sequela di scioperi, picchetti e manifestazioni a ripetizione”. Com’è noto, la fabbrica è da sempre ‘targata’ Cgil e costituisce da sempre un punto di riferimento del territorio per quanto riguarda le lotte sindacali. “E così sono tornata in prima fila, come al solito – commenta Gabriella Zucchelli, la ‘decana’ dei delegati Rsu Filctem in azienda –. Nel 2021 saranno quarant’anni passati alla Corneliani. Ho vissuto il periodo più bello, gli anni Ottanta, quando a lavorare eravamo in più di mille persone, mentre quest’ultima fase si sta rivelando davvero devastante. E pensare che l’anno scorso ho rischiato anch’io di far parte degli esuberi del piano industriale ‘mascherato’. Poi, grazie alla nostra massiccia mobilitazione, alla fine il piano dei tagli al personale è stato ritirato”. La lotta ottiene l’effetto sperato, tanto che nel febbraio scorso l’azienda ci ripensa e propone un accordo dove non si parla più di licenziamenti, ma solo di uscite agevolate per chi è vicino alla pensione, oltre a incentivi all’esodo per coloro che vogliono cambiare lavoro.

“Noi accettiamo e stiamo per firmare l’intesa. Sembra tutto risolto, quando all’improvviso scoppia la pandemia”, aggiunge Zucchelli. E lì cambia tutto. “Siamo stati la prima fabbrica in Lombardia a fermarsi per l’emergenza sanitaria ­- ricorda Orezzi -, con uno sciopero organizzato il 12 marzo. Poi, abbiamo chiuso per il lock down fino al 4 maggio. All’atto della riapertura, il Covid-19 e il mercato dell’abbigliamento fermo spaventano le banche, che avrebbero dovuto sostenere il piano di rilancio aziendale ricontrattando i mutui, ma, al contrario, chiudono i rubinetti. L’alternativa scelta dall’azienda è il concordato in bianco – in pratica l’anticamera della pratica liquidatoria – con la nomina di un commissario straordinario, che durerà in carica fino al 17 novembre prossimo, in tempo per presentare un piano concordatario di rientro dei debiti accumulati. Qualsiasi decisione dovrà essere vagliata attentamente e approvata dal tribunale. L'amministratore delegato Brandazza ha chiesto subito ulteriore liquidità agli azionisti di maggioranza, che però gliel’hanno negata, dopo aver concesso cinque milioni e mezzo all’atto della ripresa. Alla Corneliani si lavora tutto maggio e le prime due settimane di giugno, poi il nuovo stop, con l’annuncio della dirigenza di bloccare la produzione e la nuova messa in cassa integrazione di tutto il personale. Decisione immediatamente contestata da sindacati e lavoratori.

“La lotta fra azionisti ci sta portando alla rovina – sottolinea Zucchelli -. L’azienda non ha più liquidità, neanche per pagare gli stipendi e rischia il fallimento, se nessuno mette i soldi. Ormai è una lotta contro il tempo, perché siamo in una fase di passaggio: dobbiamo chiudere al più presto la collezione autunno-inverno, che è rimasta a metà con molta roba invenduta. E poi entro agosto va fatto il campionario della nuova stagione primavera-estate 2021”. “C’è l’assoluta necessità di rientrare al più presto in fabbrica per completare la produzione – denuncia Faccioli -. Così facendo, ci stiamo dando la zappa sui piedi. Ci sono capi già fatturati, come gli ordinativi su misura, ma se non consegniamo le collezioni ai negozi entro il 13 settembre scattano le penali. A questo punto, è interesse degli stessi azionisti fare ulteriori sforzi per non far fallire la Corneliani, altrimenti il capitale investito se ne andrà in fumo”.

Nel frattempo, il 16 giugno - il giorno dopo la nuova chiusura - è ripresa la lotta sindacale più dura che mai, con l’istituzione di un presidio permanente di lavoratori e lavoratrici davanti ai cancelli della loro fabbrica. Ad oggi, è passato un mese, che ha visto l’avvicendarsi continuo di gesti di solidarietà: l’ultimo in ordine di tempo, quello di Ottavia Piccolo, intervenuta il 14 giugno per portare il suo sostegno alle operaie e operai di Corneliani, con la proiezione del film ‘7 minuti’ di Michele Placido. Prima di lei, è arrivato l’abbraccio di Susanna Camusso ed Elena Lattuada della Cgil, delle dipendenti di Golden Lady e di tutto il distretto territoriale delle calze (con 7.000 addetti è il più importante d’Italia), di quelle di Gucci e Prada, Pompea, Arix, Eni Versalis e tante altre.

Senza dimenticare la vicinanza di tutti i rappresentanti della Filctem nazionale, regionale e locale e la manifestazione solidale del 26 giugno, che ha visto l’intera città stringersi attorno al picchetto della Corneliani, accompagnata da una raccolta fondi organizzata dall’Anpi e dai lavoratori delle altre fabbriche mantovane. “Ora aspettiamo il ministro Patuanelli – prosegue Faccioli –, che ha detto di stare lavorando per noi ed ha promesso che ci verrà a trovare”. Del resto, l’impegno del responsabile del ministero dello Sviluppo economico si è già manifestato il 3 luglio scorso, allorquando proprio in quella sede si è tenuto il primo incontro istituzionale sulla delicata vertenza, mentre il giorno prima c’era stato un confronto a distanza con la Regione Lombardia.

“L’interessamento di Patuanelli e le belle parole del ministro Boccia su questa vicenda sono un fatto positivo, perché denotano attenzione da parte del Governo su questa crisi, alzando il livello del confronto – afferma Sonia Paoloni, segretaria nazionale Filctem, presente al tavolo al Mise -. Io penso che alla fine, in qualche modo, riusciremo a sbloccare la situazione. La faccenda è complicata, a causa di beghe interne fra soci, e c’è un problema di tempi, che sono ristretti, e di soldi, che mancano. Ma abbiamo a che fare con un marchio prestigioso dell’alta moda, conosciuto nel mondo, che ha clienti, commesse, mercato e quindi anche lavoro. E non si possono mettere a rischio 550 posti di lavoro, principalmente donne, che diventano il doppio con le sedi all’estero, perché si fanno causa per divergenze societarie la vecchia proprietà, ora socio di minoranza, e il fondo Investcorp: noi richiamiamo entrambi alle loro responsabilità. Oltretutto, parliamo dell’investitore principale, il fondo del Bahrein, altamente ricco, che vanta una capitalizzazione da 60 miliardi e quindi ha tutte le possibilità per immettere liquidità da qui alla fine dell’anno, e riavviare subito la produzione, in attesa di un nuovo piano industriale e di altri possibili soci”.

"Le nostre richieste - fanno sapere dalla Filctem di Mantova - rimangono immutate: nuova ricapitalizzazione da parte degli azionisti per almeno cinque milioni, affinché riapra immediatamente l’azienda. Vogliamo poi un progetto di quattro anni e che arrivi un nuovo partner serio, che non sia qualche sciacallo che viene solo a rubarsi il marchio a zero euro. Il tempo scorre veloce, è ora di passare dalle parole ai fatti: da qui passa il futuro di 2 mila famiglie, collegate direttamente e indirettamente alla sorte della Corneliani". Martedì 21 luglio ci sarà un nuovo summit fra le parti presso la prefettura di Mantova alla presenza delle due sottosegretarie del Mise. Todde e Morani, mentre il 27 sarà a Mantova per icontrare i lavoratori il segretario generale della Cgil Maurizio Landini.