Nel 1962 scade il contratto nazionale dei metalmeccanici. Ai primi di luglio Fiom, Fim e Uilm proclamano uno sciopero di tre giorni con inizio il 7, ma la Uilm ed il sindacato padronale Sida firmano un accordo separato con la Fiat ritirando l’adesione allo sciopero che non si ferma. “Operai della Fiat - recita un volantino distribuito il 6 luglio davanti ai cancelli della Fiat Mirafiori dal gruppo dei Quaderni Rossi - alle vostre spalle, senza consultare nessuno, le organizzazioni sindacali al servizio del padrone hanno concluso un accordo separato che tenta di liquidare la lotta e la forza operaia alla Fiat. Ancora una volta siete voi a dover decidere e dichiarare cosa volete e che cosa invece rifiutate. Ora dobbiamo vedere con chiarezza quale è la manovra padronale e quale deve essere la risposta operaia. (...) Operai della Fiat, oggi il disegno del padronato italiano è questo: spezzare la grande lotta dei metalmeccanici separando la trattativa nelle varie aziende e imporre un accordo aziendale per la Fiat. Se questo disegno si realizza pienamente, senza che la classe operaia della Fiat affermi la sua decisione, questa grande lotta, che ha un significato generale di lotta di classe, verrà frantumata e il capitalismo italiano, dopo essere stato messo in gravissime difficoltà dalla lotta operaia, potrà perseguire più facilmente il proposito di pianificare il suo dominio”.

La mattina del 7 la protesta coinvolge i maggiori stabilimenti industriali di Torino: Fiat, Riv, Lancia, altre imprese minori. A partire dal primo pomeriggio alcune centinaia di operai si concentrano in Piazza Statuto circondando la sede della Uilm. Nonostante i tentativi di mediazione da parte di dirigenti di Cgil e Cisl, per tutto il pomeriggio e sera si svolgono violenti scontri fra dimostranti e forze dell’ordine. L’8 luglio la tensione diminuisce, ma gli scontri però riprendono fin dalla mattina del 9 estendendosi anche alle zone vicine. Il bilancio totale sarà di 1.215 fermati, 90 arrestati e rinviati a giudizio per direttissima, un centinaio di denunciati a piede libero, varie centinaia di feriti fra le forze dell’ordine e fra i manifestanti.

Ricorda Diego Novelli: “Nel 1962 ero il responsabile della redazione piemontese de l’Unità. In quell’estate i lavoratori della Fiat avevano ripreso a scioperare. Si trattava di una grande novità. Ricordavamo l’ultima manifestazione operaia, nel 1955. Poi più niente. “Il ghiaccio è rotto” dicevano gli operai. La Fiat volle fare un’operazione delle sue, facendo firmare al volo la Uilm e il sindacato giallo. Fiom e Fim si opposero. Ma successe qualche cosa di imprevisto. La notizia della firma venne fuori il sabato, 7 luglio. Mi telefonarono al mattino avvertendomi che da Stura, la fabbrica Fiat vicino all’imbocco dell’autostrada per Milano, gli operai erano usciti e stavano andando in centro. Raggiunsi il corteo, che scese in corso Giulio Cesare, a porta Palazzo poi in piazza Statuto dove c’era la sede della Uil. Volò qualche sasso, ci fu un po’ di confusione, ma nulla di straordinario. Nel pomeriggio la situazione cambiò, perché insieme agli operai arrivarono anche altri soggetti. C’era tanta gente incazzata che non c’entrava niente con la Fiat, giovani, immigrati, anche personaggi malavitosi. Gli scontri diventarono violentissimi. Sergio Garavini e Giancarlo Pajetta vennero presi a sassate mentre erano sotto una pensilina. Verso sera il brigadiere Rizzo della squadra mobile, fratello di un compagno segretario della federazione di Avellino, vide gli arrestati e suggerì di portarli alla buon costume invece che alla squadra politica. Poi con Pajetta andiamo a cena alla birreria Mazzini. Pajetta tira su un calzone ed era tutto sporco di sangue, era stato ferito a una gamba. Domenica sembra tutto liscio, ma mi arriva una telefonata dalla questura. La telefonata è da parte del dottor Passone, capo della squadra politica, che mi dice di informare il mio direttore che all’indomani sarebbero ripresi i disordini. Ma la questura cercava un altro Novelli, mio cugino Piero, che stava alla Gazzetta del Popolo ed era corrispondente del quotidiano di Roma di destra Il Tempo. Mi feci l’idea che la protesta era stata infiltrata e strumentalizzata, c’era una grossa provocazione in atto e arrivo (...) Il centro città venne messo in stato d’assedio. La rivolta venne spenta con la forza, la repressione fu durissima e le condanne molto pesanti perché allora la magistratura torinese era molto sensibile alla Fiat. La Fiat chiamava e il giudice si alzava. Però la rivolta di piazza Statuto preparò l’autunno operaio, mise in discussione le scelte di Valletta che per anni aveva obbedito agli americani contrastando i comunisti e la Cgil, con i reparti confino, le schedature, i licenziamenti. La novità? La vecchia classe operaia aveva fatto una trasfusione di sangue, erano i giovani, i contadini, i braccianti sfruttati alla catena di montaggio, che affittavano un letto a ore per dormire. Nel Pci discutemmo a lungo, ci dividemmo su quella rivolta. Ma la città stava mutando e nel 1963 ci fu il primo successo elettorale dei comunisti a Torino”.

Il Partito comunista e i sindacati sconfessano l’iniziativa e lo stesso gruppo più radicale, quello che si riconosceva nei Quaderni Rossi di Rainero Panzieri, prende le distanze dalla violenza di piazza, pur invitando a riflettere sulla composizione sociale dei dimostranti. Piazza Statuto fu senza dubbio il luogo nel quale si ebbe una delle prime e più significative esplosioni conflittuali di cui fu protagonista dell’operaio massa - una delle figure sociali protagoniste delle lotte degli anni ’70 - come risulterà al processo dove due terzi degli imputati per le violenze di strada saranno giovani immigrati meridionali (“Molti hanno l’aspetto di bulli di periferia - scriveva la Stampa il 10 luglio - alcuni si direbbero studenti. Tutti vestono nello stesso modo: una camicia di colore o una maglietta sgargiante, molte volte rossa, fuori dai pantaloni, maniche rimboccate”). Sicuramente in Piazza sono presenti elementi infiltrati, ma altrettanto significativa è la presenza di giovani meridionali immigrati, non integrati, scarsamente sindacalizzati e sfruttati come manodopera dequalificata. In una piazza nella quale si rintracciano molti degli elementi che caratterizzeranno le  future lotte sindacali del ’68-69.

La vertenza contrattuale si chiuderà 7 mesi più tardi dopo una nuova serie di licenziamenti “politici” (84 operai iscritti alle tre sigle metalmeccaniche, con un conseguente sciopero che peraltro fallì). L’8 febbraio 1963, dopo uno sciopero generale unitario di tutto il settore (l’ultimo 9 anni prima), verrà firmato il contratto che prevedeva un miglioramento salariale importante circa il 32%) ed il riconoscimento della contrattazione aziendale. Proprio nel 1962, nel mese di febbraio, Bruno Trentin è eletto segretario generale della Fiom (manterrà la carica per quindici anni, fino al 1977). Luciano Lama, segretario dei metalmeccanici viene richiamato nella Segreteria confederale della Cgil per sopperire alle dimissioni dovute a importanti problemi di salute di Luciano Romagnoli.

Scriverà anni dopo Piero Boni in “Fiom. 100 anni di un sindacato industriale”: “Luciano Lama era eletto nel gennaio 1962 segretario della Cgil e lasciava la Fiom. La successione di Lama fu oggetto nella Cgil e nella Fiom di vivace confronto fra socialisti e comunisti. I primi ritenevano che, dopo i Congressi confederali di Roma e di Milano, non sussistendo più differenziazioni fra le due correnti sulla politica sindacale, alla carica di segretario generale potesse accedere un socialista. I secondi obiettavano che l’unità della politica sindacale non cancellava il fatto che i comunisti erano maggioranza nell’organizzazione. La questione fu risolta con una formula originale, l’unica adottata nella storia della Fiom, di due segretari generali”.

Così nel suo diario personale ancora inedito, Trentin racconta i suoi primi anni alla Fiom: “Subisco la decisione di mandarmi alla Fiom (…) Le lotte di Milano, le mie prime esperienze. Il convegno del Gramsci: una lezione per me. Debbo continuare a studiare. Basta poco per ritrovare se stessi (…) Le mie prime esperienze di trattativa. Mi sento messo alla prova e questo mi eccita. Raramente si ha la possibilità in termini così concreti e propri di passare dall’altra parte della barricata e di divenire protagonisti di un fenomeno che prima si osservava criticamente (…) Lo sciopero alla Fiat è una giornata indimenticabile. Il caldo mostruoso (…) il primo tentativo di stabilire un rapporto personale vivo con dei volti lontani, delle entità astratte. La sera davanti ai cancelli della Mirafiori. Mi pare di sognare (…) Di fronte agli stessi cancelli il 4 agosto mattina. Lo sciopero oscilla, poi, all’ultimo momento, vicino alle 6, tracolla e china la testa. Mai così viva la sensazione, la visione cinematografica della sconfitta. Settembre, la lotta alla Fiat e le trattative (…) L’accordo firmato all’alba”.