Andrea Lumino ha iniziato lavorando in un call center e oggi trascorre la sua giornata a difendere e rappresentare uomini e donne professionalmente appesi a un filo del telefono. L’ultimo caso lo ha denunciato a Taranto solo poche ore fa: quaranta lavoratori, giovani donne e uomini, pronti a essere impiegati in regime di smart working con un compenso di 3 euro lordi l’ora - 300 euro di fisso per 5 giorni a settimana, 5 ore al giorno. Una somma a cui sarebbero state poi sottratte tutte le spese - dal pc alla connessione a carico, neanche a dirlo, dell’operatore. In più – e in peggio – senza cinque contratti firmati a fine mese, niente soldi.

“Abbiamo scoperto questa vicenda perché l’azienda di call center Next cercava personale per una sede nel comune di Statte e lo faceva tramite i social network. – racconta il segretario della Slc Cgil tarantina  – Insospettiti, ci siamo attivati per capire quale fosse l’offerta e ci siamo trovati davanti a un’impresa che, al solito, ha scelto di avere un nome futuristico e di grande modernità per fare una cosa vecchissima: violare i diritti dei lavoratori”.

Statte è un piccolo comune, un’ex frazione della città di Taranto, legato a doppio filo alle vicende della siderurgia e della cantieristica navale. 15mila abitanti più o meno, in prevalenza operai. Il disagio economico e sociale è alto, è una di quelle zone ad alto ricatto, dove il baratto tra diritti e lavoro è un’arma facile in mano alle aziende che non hanno scrupoli.

L’Slc Cgil denuncia il caso Next. Scrive all’Ispettorato del lavoro. Nessuna risposta. Scrive all’amministrazione comunale, chiede un incontro che ancora non c’è stato. Scrive pure ai committenti, alle aziende che avevano appaltato il lavoro a Next. Ed è lì che si apre la faglia. La società Green Network Energy Luce e Gas, 39 milioni di utile all’attivo nel 2019, risponde e fa marcia indietro. Testualmente scrive: “vi segnaliamo che la scrivente non ha stipulato mandati con call center localizzati nella zona di Taranto”. È così che salta la commissione, il call center non apre più. Nessuno dei quaranta addetti, però, resta senza un impiego. Dopo la scoperta e la denuncia, il sindacato infatti riesce a siglare un accordo perché vengano regolarmente assunti in tre call center della zona.

“La situazione – spiega ancora Lumino – era difficilissima prima. Adesso lo è ancora di più: ci troviamo davanti nuove sfide alle quali le istituzioni, nazionali come locali, non possono sottrarsi. È il caso, ad esempio, dello smart working non regolamentato. Se già ci troviamo a combattere a mani nude contro appalti e subappalti, questo strumento potrebbe essere utilizzato dalle aziende per un’ulteriore speculazione creando un danno sia alle persone che alle imprese che operano nel rispetto delle regole. Per fermare il dumping sugli appalti occorre un intervento legislativo generale. Se prima il rischio era di trovare i lavoratori ammassati a lavorare in condizioni disastrose nei sottoscala, oggi la frammentazione potrebbe essere ancora più radicale”.

In questa vicenda, a parte il sindacato, interventi esterni, invece, non ce ne sono stati. L’unica leva che ha funzionato è stata quella giocata sui grandi committenti. “E non è la nostra unica denuncia – conclude il sindacalista – In genere, una volta scoperto il sistema il grande committente dice che non sapeva. Ecco non sapere non è più possibile. Proprio perché la crisi che ci troviamo davanti è grandissima e pericolosa, non è una risposta accettabile. La dignità della persona va tutelata: se questo settore è stato individuato come strategico per la vita del Paese, come è accaduto durante la pandemia, altrettanto strategico deve essere il rispetto della legalità e dei lavoratori. Non possiamo accettare lo scambio tra un pezzo di pane e lo schiavismo”.