Un settore che ‘tira’, o meglio, che ‘tirava’. Già, perché l’emergenza sanitaria dei mesi scorsi ha bloccato tutto, incluso il distretto calzaturiero veneto della Riviera del Brenta, che godeva di ottima salute fino al dicembre 2019, e si è ritrovato in serie difficoltà a causa del lookdown, con un crollo del fatturato di quasi il 40%.  

Com'è noto, il distretto del Brenta, che si estende fra le province di Padova e Venezia, è formato da 520 piccole e medie aziende (con l’intera filiera si arriva a oltre 900 società manifatturiere, a carattere sia industriale sia artigianale, perlopiù a conduzione familiare, molte in contoterzi), che impiegano circa 10.000 addetti e producono complessivamente quasi 19 milioni di paia di scarpe, soprattutto da donna, di cui più del 90% viene esportato. Una realtà considerata al top - copre il 12,3% del prodotto e il 20% del fatturato nazionale del settore -, che lavora soprattutto con i grandi brand di lusso dell’alta moda, mentre sono pochi coloro che si fregiano di un marchio proprio.

Dunque, la pandemia ha stravolto ogni cosa, anche in un contesto industriale lanciatissimo come questo (con un giro d’affari superiore ai due miliardi, dati 2019), fermando per due mesi la produzione, perché i lavoratori del distretto non sono considerati fra le categorie essenziali. Attualmente, circa il 70% delle aziende del Brenta adotta la cassa integrazione straordinaria per complessivi 7.000 lavoratori, mentre il blocco dei licenziamenti, che interessa due-tre addetti per impresa (per un totale di 1.500 persone), è stato prorogato fino a dicembre 2020.

“Per tutto il periodo estivo siamo coperti dalla cigs per Covid-19 – afferma Michele Pettenò, segretario organizzativo Filctem Cgil Venezia –. Il banco di prova lo avremo a fine settembre-ottobre, quando partiranno le nuove collezioni del 2021 e si capirà se ci sarà una risposta positiva dal mercato o scoppierà il dramma vero”.

Le grandi griffe del Veneziano - i principali interlocutori del distretto del Brenta - hanno ridotto il lavoro alla filiera mediamente del 30%, ma in alcuni casi lo hanno tolto del tutto. Stando alle proiezioni, la quasi totalità delle aziende avrà una forte riduzione degli ordinativi futuri. Un calo produttivo considerevole, che si ripercuote inevitabilmente sul lavoro. In particolare, sulle ferie: a molti lavoratori del distretto - quelli delle realtà più piccole, pari a circa il 70% del totale -, non verranno concesse. In quel caso, forse saranno posticipate e recuperate durante la pausa natalizia. Una decisione che non trova d’accordo i sindacati.

“In questo periodo, tantissime aziende hanno chiesto di non chiudere mai e di derogare al contratto – rivela Pettenò –, chiedendo ai lavoratori di andare in fabbrica anche in agosto. Noi abbiamo risposto che non intendiamo rinunciare alle ferie, perché il ccnl le prevede. Semmai possiamo ridurle, ma sempre previo accordo con il sindacato. Il problema vero è che le imprese devono smaltire il lavoro arretrato pre-Coronavirus, avendo i magazzini pieni di produzioni già fatte con un sacco di invenduto. Noi ci rendiamo del momento difficile e delicato che vive il settore, cercando di venire incontro alle esigenze del distretto, ma non possiamo certo rinunciare a un diritto dei lavoratori”.           

“Premesso che nessuno nel calzaturiero quest’anno farà le canoniche tre settimane di ferie – sostiene Roberto Perdon, delegato Rsu Filctem Venezia alla Taylor of Venice –, per quanto mi riguarda, ho già raggiunto un’intesa soddisfacente con la mia azienda per garantire a tutti i miei colleghi una settimana di riposo a cavallo di Ferragosto. Noi lavoriamo principalmente con Unutzer, un brand tedesco delle scarpe e delle borse di fascia alta assai conosciuto nel Nord Europa, e abbiamo la fortuna di avere venduto quasi tutto della vecchia collezione e quindi non escludiamo di poter prendere a breve anche una seconda settimana di ferie, facendo ruotare tutto il personale. Non credo ci saranno problemi di sorta neanche stavolta, anche perché siamo 28 persone che si conoscono da una vita e abbiamo sempre risolto ogni cosa dandoci una mano fra di noi. Per il futuro, sono moderatamente ottimista, e penso che alla fine si tratterà solo di una crisi passeggera, considerando l’alta qualità del nostro prodotto e la grande professionalità degli addetti”.

In questo momento, secondo gli osservatori, quello che manca è soprattutto il mercato straniero. “È proprio questa la prima causa della crisi – osserva Pettenò –. Non essendoci l’export, automaticamente il distretto è andato in tilt. Ma una fotografia nitida del settore la potremo avere solo a fine anno, considerando che si tratta di un lavoro con caratteristiche di stagionalità, dove si alternano periodi di grandi produzioni a fasi di stop. È un sistema complesso e delicato, dove spesso tutto dipende dal grande marchio di riferimento: se ha grossi ordinativi, dà lavoro alle piccole aziende artigiane del distretto, altrimenti, se la griffe non tira, sposta il proprio baricentro produttivo e i piccoli sono costretti a loro volta a modificare la loro attività, pena la chiusura”.    

“Ora il problema è ripartire bene – conclude il dirigente sindacale –: un po’ come quando durante un gran premio di Formula uno sei in testa e all’improvviso succede un incidente, arriva lo stop ed entra la safety car. Allorchè la pista è di nuovo agibile, chi è in condizioni ottimali, ricomincerà al meglio. Nel nostro caso, risulterà vincente colui che avrà un sistema in grado di essere di nuovo subito competitivo sul mercato, lanciando nuovi modelli per le prossime collezioni”.