Se dici occhiali di lusso, dici Italia. Più propriamente, però, dici Belluno: la valle tra il Cadore e Agordo. Un distretto dinamico, dove operano marchi globali e insieme fortemente radicati territorialmente e che nei decenni è cresciuto a un ritmo incessante. I 18.000 addetti dell’intero comparto sono quasi tutti in questo lembo non troppo esteso di terra e – concentrazione nella concentrazione – ben 11.000 sono dipendenti Luxottica (80.000 nel mondo). Cosa succederà ora con la crisi pandemica in atto? Se lo chiedono sindacalisti, analisti, imprenditori. I primi dati purtroppo sono allarmanti: i primi tre mesi del 2020 hanno fatto segnare un preoccupante -21.4 per cento.

L’Italia – di fatto Belluno – occupa oltre il 20 per cento del mercato mondiale, ma addirittura il 70 per cento del segmento del lusso, producendo oltre 100 milioni di occhiali l’anno. Si tratta però di un mercato molto sbilanciato sul versante dell’export. I dati sono clamorosi: nel 2018 la produzione italiana del settore ammontava a 3,865 miliardi di euro; di questi, ben 3,73 miliardi erano di export. Un aspetto che, ovviamente, suscita molti interrogativi in una fase non si sa quanto lunga di stallo della domanda globale. “Si tratta di un’incognita molto forte – spiega Sonia Paoloni, segretaria nazionale Filctem –. Il drastico calo dei consumi, dovuto alla chiusura dei negozi, ha reso necessario ricorrere in molti casi alla cassa integrazione. Insomma, anche se non siamo ai livelli di allarme che riguardano in generale il comparto della moda, che occupa tra diretti e indiretti 1 milione di addetti, certamente motivi di preoccupazione ci sono, vista anche la concentrazione territoriale delle aziende: se c’è una crisi sta tutta lì e quindi l’impatto può essere localmente molto pesante”.

Condivide il ragionamento il segretario generale della Filctem veneta, Michele Corso: L’occhialeria rappresenta una componente importantissima dell’economia della provincia e del veneto. La maggior parte della produzione del lusso, molto costosa, va all’estero e in questo momento i principali mercati, che sono quelli tedeschi e americani, sono chiusi. Finora siamo riusciti a sostenere queste difficoltà attraverso gli ammortizzatori sociali, le aziende hanno retto, ma il problema è capire come andrà nel prossimo futuro, con la riapertura”.

Passato e presente
E dire che l’ultimo dato prima della pandemia era stato davvero rassicurante. Nel quarto trimestre del 2019 l’export era cresciuto dell’11 per cento: unico distretto italiano con una performance di questo livello. Naturalmente i numeri complessivi non sono sufficienti a descrivere singolarmente e qualitativamente le diverse situazioni. La crisi della Safilo - nata ben prima del gigante Luxottica, ma ormai da anni in mano a un fondo olandese –  era in corso da prima della pandemia, con gli esuberi a Martignacco (250, in provincia di Udine), Longarone (400) e Padova (50). Se infatti questo territorio ha tratto la sua forza dal collocarsi al crocevia tra locale e globale, questa dinamicità sconta anche le pressioni e le contraddizioni della globalizzazione delle proprietà e dei mercati: Safilo, come è noto, è entrata in crisi proprio perché in questo scenario di competizione planetaria ha perso la licenze Dior.  E le conseguenze alla fine le pagano come sempre i lavoratori.

Per capire la situazione attuale e lo scenario che si prospetta serve, seppur in estrema sintesi, ripercorrere la storia del distretto, nato addirittura alla fine del XIX secolo, con un reticolo di imprese dove in piccoli laboratori venivano montati i pezzi di occhiali costruiti in Germania. Via via questi artigiani si sono messi in proprio e attorno a essi sono nate professionalità di grande qualità sempre più ricercate: è così che è nato e si sviluppato il fitto reticolo “orizzontale” del distretto degli occhiali. Successivamente sono seguiti forti processi di “verticalizzazione” degli assetti produttivi: il numero delle aziende è diminuito inesorabilmente (agli inizi degli ottanta erano 800, oggi molte di meno), poiché quelle più grandi hanno assorbito al proprio interno tutte le fasi della produzione prima dislocate nella catena produttiva, mentre le poche piccole o medie aziende rimaste si specializzavano in alcune fasi del ciclo produttivo o in nicchie di altissima qualità: il bellunese, ad esempio, è l’unica in cui si producono occhiali in corno.

Il campione di questo processo è stato ed è Luxottica che di fatto nei decenni si è mangiata il distretto, dopo averne fatto parte “dal basso” (il barlettano orfano Leonardo Del Vecchio che, dopo aver fatto l’operaio in una fabbrica di stampi per occhiali, si mette in proprio come contoterzista e con appena 14 dipendenti) ed essersene servito come trampolino di lancio per il mercato globale dell’occhiale di lusso di cui è diventata uno dei leader indiscussi. 

Capitalismo italo-francese
Alla vigilia di questo post-covid la situazione del distretto è il risultato di questi processi che abbiamo descritto sommariamente. “Il bellunese è diventato pur nella sua dimensione molto ridotta – spiega Luca Romano, ricercatore di Local Area Network, esperto di sviluppo locale.  – il luogo in Europa di più ampia concentrazione e specializzazione di un capitalismo manifatturiero italo-francese. Proprio qui sono infatti presenti i tre colossi del settore: Luxottica-Essilor, Kering e Lvmh. Quest’ultima, in joint-venture con Marcolin, ha dato vita a Thelios e costruito uno stabilimento a Longarone, proprio vicino a Luxottica, portando praticamente via Dior a Safilo. Kering invece si è mossa in un altro modo, creando una propria divisione occhiali con sede operativa a Padova e produzione in una serie di aziende partner nel territorio veneto”. 

Le aziende più piccole rimaste sul campo rientrano in tre tipologie: quelle specializzate su un pezzo della produzione (montature, stanghette eccetera); un gruppo molto pregiato di artigiani specializzati sui materiali (corno e legno, ad esempio); aziende che realizzano prodotti completi di nicchia, per esempio come la Tramaor che fa modelli in titanio. 

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Naturalmente, aggiunge Romano, “con tre ‘capi classifica’ di questo livello, il resto delle imprese opera sotto una pressione formidabile”. Anche a causa di un altro fenomeno: il venir meno del sistema delle licenze. Senza cessione delle licenze, il produttore ha molta meno forza e dunque autonomia rispetto al colosso/brand che gli fornisce il lavoro e dunque detta ritmi e condizioni.

In ogni caso prima del coronavirus erano presenti tre fattori di dinamizzazione molto importanti: il primo è rappresentato dall’entrata dell'industria 4.0 in un settore, quello degli occhiali, che per volumi produttivi e necessità di rapidi aggiornamenti dei cataloghi, sembrava poco adatto a questo tipo di innovazione. “Invece – riprende il ricercatore – a fine 2018 Luxottica ha acquistato da Abb ben 300 robot. Tutto questo ha accelerato fortemente la sua competitività: prima dal disegno alla produzione dell’occhiale ci volevano 140 giorni, ora meno della metà. Altro elemento interessante sono le innovazioni nell’uso dei materiali: il tema dell’ecosostenibilità è molto sentito in settori in cui l’uso della plastica è particolarmente elevato. Un effetto Greta molto importante soprattutto per i clienti giovani. Infine, lo sviluppo dell’e-commerce e della logistica, insieme al problema dell’impatto ambientale sempre più importante per i grandi marchi, sta facendo nascere molti dubbi sull’effettiva convenienza di delocalizzare pezzi di produzione in Asia, soprattutto in Cina”.

Su Belluno luci e ombre
Insomma: luci e ombre. Sicuramente la pandemia è precipitata su un distretto in forte movimento seppur con tante contraddizioni. Resta per ora inevasa la domanda da cui eravamo partiti. Cosa accadrà ora? “Non è facile rispondere – argomenta Romano –, qualche elemento importante però lo conosciamo. Tutti i report delle grandi strutture di consulenza, tipo Mc Kinsey, ci dicono che ci sarà un fortissimo raffreddamento del mercato, una crescita molto forte dell’e commerce e che il marketing più efficace in questa fase deve essere molto social e sobrio: bisogna insomma un po’ nascondere che si fanno prodotti per i ricchi. Tutte cose che per il segmento del lusso possono però rappresentare una qualche problematicità”. Aspetti positivi tuttavia ce ne sono: “Per esempio le possibilità di reshoring, cioè di aziende che hanno delocalizzato per ragioni di costo del lavoro e fisco, e che in questa fase a mio avviso potrebbero trovare conveniente riterrorializzarsi”. 

Del resto, al di là di un certo disallineamento tra domanda e offerta di lavoro (Certottica certifica che ci sono 3.000 professionalità che le aziende non riescono a reperire, mentre molti lavoratori in esubero hanno skills non sempre spendibili sul mercato del lavoro), la forza del bellunese è stata sempre la qualità delle competenze e della passione dei suoi lavoratori. Il made in Italy, che è poi soprattutto la sapienza artigiana dei suoi addetti, è fattore ancora molto forte e su cui bisogna investire con adeguati progetti formativi. Se è vero che tutti i grandi gruppi di cui abbiamo parlato - pur non risparmiandosi colpi anche mortali in giro per il mondo – poi i loro occhiali migliori li vogliono costruire qui, in questa valle profonda e lontana.