Imperativo categorico: salvate l’acciaio. Da Taranto a Genova, da Terni a Piombino. In quest’ultimo caso, dopo anni di crisi, sofferenze e promesse mancate, oggi si respira un’aria nuova. Jsw steel Italy, la società indiana dal 2018 proprietaria delle acciaierie, si è impegnata a presentare il piano industriale preliminare entro giugno. A rafforzare l’ipotesi di rilancio, l’incontro avvenuto la scorsa settimana fra il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli e il titolare Saijan Jindal. Oggetto del summit, la nascita di un nuovo modello di siderurgia ecosostenibile in Italia. In particolare, il responsabile del governo ha manifestato la disponibilità ad agevolare la ripresa produttiva del sito e ad accompagnare gli investimenti necessari all’ammodernamento degli impianti, prevedendo anche un possibile ruolo attivo dello Stato, tanto che molti osservatori hanno ipotizzato la nascita di una nuova Ilva pubblica.

Insomma, si volta finalmente pagina? I sindacati, che incontreranno Patuanelli venerdì 12 giugno, si mostrano scettici. “Si parla tanto, ma strategie e piani industriali ancora non ci sono”, sostiene Mirco Rota, della Fiom Cgil nazionale: “Aspettiamo che succeda qualcosa di concreto. Di fatto, è tutto fermo. Jindal continua a rimandare la presentazione del piano, dopo la proroga di quattro mesi ottenuta nel gennaio scorso, e stando alle ultime notizie che abbiamo, ora si vocifera addirittura di rinviare tutto al 2021”. Al gruppo indiano la Fiom chiede “chiarezza”, mentre sollecita il governo a manifestare “un preciso interesse nazionale sulle acciaierie, anche perché stiamo parlando del cuore industriale di Piombino, che ha rilevanza generale. L’obiettivo è tornare a produrre acciaio a livello locale. Solo in tal modo l’acciaieria potrà produrre utili e ci saranno spazi di mercato”.

In sostanza, secondo la Fiom, buona parte degli impegni assunti da Jsw non sono stati realizzati, come gli investimenti sugli impianti di laminazione, il programma per le demolizioni, uno studio di fattibilità, un impianto per il trattamento della cosiddetta “tempra”, nonostante la richiesta di modifica degli strumenti urbanistici. Il gruppo indiano ha anche chiesto alle istituzioni di risolvere una serie di questioni: le agevolazioni del costo dell’energia, l’identificazione di aree per lo smaltimento di scorie provenienti dalla produzione, la possibilità di accedere a risorse regionali e nazionali, le concessioni demaniali e la riduzione dell’affitto, la realizzazione di un collegamento ferroviario dedicato. Per l’azienda, tutti questi adempimenti sono condizioni necessarie ai fini della presentazione del piano.

“Al di là delle innumerevoli difficoltà che si sono succedute, che hanno portato al graduale indebolimento della presenza piombinese sul mercato dell’acciaio, tanto che Jsw ha accumulato perdite per oltre 40 milioni di euro negli ultimi due anni, e malgrado il lockdown che ha dato il colpo di grazia, tuttavia per il futuro resto cautamente ottimista”, dice David Romagnani, segretario della Fiom Cgil di Piombino. “Registro movimenti interessanti: in particolare, la proposta del ministro d’intervenire attraverso una leva pubblica, come Cassa Depositi e prestiti o Invitalia, finalizzata all’investimento su Piombino, abbinata a una proroga della sorveglianza, offre una prospettiva seria”.

David Romagnani vede con chiarezza “due elementi: a differenza di altre importanti realtà, dove l’imprenditore pare volersi disimpegnare, qui Jindal ha manifestato l’intenzione di rimanere e di voler investire”. A questo, si aggiunge il fatto che “il nostro organico ha ormai una dimensione che permetterebbe la piena rioccupazione con gli investimenti annunciati. Fra questi, in prospettiva con la ripresa del mercato, la produzione dei laminati piani, settore che nel nostro Paese potrebbe offrire spazi interessanti”.

Malgrado tutto, dunque, sembrano esserci le premesse per una riedizione in grande stile della ‘Magona d’Italia’ delle origini del 1865. Certo, sono lontani i tempi d’oro degli anni sessanta e settanta, quando vi lavoravano quasi 8 mila addetti e si producevano a profusione anche 100 mila tonnellate al mese di acciaio, ghisa e laminati vari. Fino al 1984, allorché fece la sua prima apparizione la cassa integrazione e si arrivò nel breve volgere di pochi anni al dimezzamento dell’organico, grazie a massicci prepensionamenti. Si andò avanti con alterne fortune, fra ristrutturazioni e riammodernamenti, fino all’avvenuto passaggio dallo Stato ai privati, prima Lucchini, poi i russi di Severstal.

Il resto è storia recente, con l’arrivo degli algerini di Cevital nel 2016, naufragato due anni dopo. “In quel caso – afferma Romagnani – si trattava di un gruppo che non aveva nulla di siderurgico nel proprio dna e ne caldeggiammo noi stessi l’allontanamento, d’accordo con le segreterie nazionali e con l’allora ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, anche perché era chiaro che la situazione stesse precipitando di giorno in giorno ed era necessario staccare la spina”.

Oggi il quadro è cambiato, anche se in “fabbrica” - come da sempre viene comunemente chiamato il polo siderurgico locale, simbolo dell’industrializzazione della cittadina toscana – permane molta preoccupazione. “I tempi si allungano e la situazione peggiora”, osserva il coordinatore Fiom di Jsw, Paolo Carli: “Si lavora male, la produzione va a fasi alterne, in alcuni periodi si fa di più, in altri di meno, ma su tre impianti di laminazione ne funziona solo uno, quello per la produzione di rotaie, da sempre il fiore all’occhiello dell’industria di Piombino”.

Fra i lavoratori predomina lo scoramento, soprattutto per chi sta a casa da sei anni (quasi un terzo dell’organico, 600 su 1.750), ovvero da quel lontano aprile 2014, quando venne spento l’altoforno. Attualmente i full time sono appena 700 persone. “Abbiamo bisogno di un piano urgente di rinnovamento di tutti gli impianti, altrimenti si finisce fuori mercato”, conclude Carli: “Oggi se si rompe qualcosa, non ci sono i pezzi di ricambio. La manutenzione non si fa più da tempo, in queste condizioni non si può essere competitivi”.

A concludere questo “viaggio” all’interno dell’acciaieria di Piombino è il segretario territoriale Fiom David Romagnani. “Se non rinascerà l’area a caldo all’interno del polo siderurgico proseguirà il nostro declino: da un lato, saremo vittime della concorrenza fra stabilimenti e continueremo a produrre perdite, importando il semi-prodotto a pezzi di mercato; dall’altro, mantenere unicamente la sola laminazione significherebbe avere la certezza di importanti esuberi di personale”. Il sindacato locale, dunque, chiede “garanzie non solo alla proprietà, ma anche al governo, che deve svolgere un’operazione di monitoraggio, a tutela dell’interesse pubblico della partecipazione all’investimento per un totale ricollocazione del personale. È ovvio che servirà anche riallineare la strumentazione degli ammortizzatori sociali”.