Alla Smurfit di Lunata il Covid-19 lo hanno conosciuto da vicino. Pochi giorni dopo lo scoppio dell’emergenza un lavoratore è risultato positivo al virus. Eppure, prese le dovute precauzioni, l’azienda ha continuato a produrre imballaggi non stop. La produzione non si è mai fermata nemmeno alla Kimberly Clark di Romagnano Sesa, in provincia di Novara, perché fazzoletti, asciugatutto e tovaglioli sono considerati beni di prima necessità. Le cartiere rientrano, per codice Ateco, tra le aziende che non hanno mai chiuso durante l’emergenza, poiché considerate di interesse strategico nazionale. 

Tra di esse, c’è anche la Fedrigoni di Verona, dove si fabbricano prevalentemente materiali per cartoleria e packaging per prodotti di lusso. Sin dal primo giorno della fase uno, per i lavoratori di queste imprese la paura del contagio ha dovuto convivere con il senso di responsabilità. Forse è stata anche la forte consapevolezza maturata a spingerli, in molti casi, a iniziative solidali nei confronti delle comunità di appartenenza.

I dipendenti della Smurfit Kappa si sono mobilitati in sostegno di enti e organizzazioni in tutte le regioni dove risiedono gli stabilimenti. Hanno dato il via a una raccolta fondi e, contemporaneamente, alla donazione di ore di ferie arretrate e permessi. Gli oltre 75 mila euro raggiunti, a cui si è sommata la quota donata dall’azienda, sono stati destinati ad enti e organizzazioni locali. “A Lunata ci siamo messi insieme – racconta Nicola Del Guerra, dipendente Smurfit e segretario della Slc di Lucca- e abbiamo raccolto una cifra che è servita ad acquistare dispositivi per gli operatori dell’ospedale (mascherine, visiere, guanti, tute)”. Inoltre, il loro contributo ha supportato la Croce Verde di Lucca e la Fraternita Misericordia di Capannori.

“Alla Kimberly Clark abbiamo messo un'urna in portineria – spiega invece Fabio Medina, presidente del Comitato aziendale europeo – in modo che ogni collega potesse esprimersi sull’entità della cifra da donare”. Il sindacato e l’azienda, di comune accordo, hanno deciso di destinare i fondi raccolti alla Protezione Civile. L’azienda devolverà, per ogni lavoratore, un importo pari a quello trattenuto in busta paga per la donazione.

Purtroppo, la generosità dimostrata da dipendenti e imprese del settore, potrebbe non essere ripagata dal mercato. Nonostante nella fase uno la produzione non si sia mai arrestata, la fase due si è aperta con un crollo della domanda. I primi effetti economici del lockdown si sono già fatti sentire alle Cartiere Fedrigoni: crollate le richieste di carte per ufficio e scuola, ma anche quelle di prodotti speciali per il packaging dei beni di lusso, nella profumeria, nel retail, nella comunicazione di eventi e mostre. Tutti ambiti fortemente colpiti dalla chiusura, che hanno generato un effetto domino.

“La nostra fase due si chiama cassa integrazione” afferma Riccardo Bonizzato, rsu nello stabilimento di Verona, che fa parte del comitato Covid-19 costituito in azienda per fronteggiare al meglio l’emergenza. Qui, dopo Pasqua, gli ordini sono calati del 50%. Una prima settimana di cig è già stata fatta, ma Bonizzato prevede che ne seguiranno probabilmente altre. Stesso destino per gli stabilimenti in Trentino, Friuli e Marche. Nei due siti di Fabriano, in provincia di Ancona, durante i primi dieci giorni di maggio la produzione si è fermata.