Si era semplicemente confidato con un collega. Temeva di essersi ammalato di coronavirus, ma in realtà si trattava solo di qualche sintomo influenzale. È scattato però un meccanismo infernale: la direzione aziendale, avendo avuto notizia per via ufficiosa, del rischio di un contagio gli ha consegnato la lettera di licenziamento, dopo averlo immediatamente sospeso. Motivazione? Procurato allarme. La storia del dipendente licenziato ha suscitato la reazione del sindacato e per domani è previsto un primo sciopero in azienda, la Bibo Italia, che produce contenitori commerciali per prodotti alimentari, in particolare bicchieri e vasetti per lo yogurt. La Bibo ha tre sedi in Italia: a Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia), Settimo Torinese e una sede in Campania.

Il sindacato ha aperto una vertenza e sta cercando di spingere la direzione a ripensarci prima di ricorrere ad altre vie. “Per ora però l’azienda conferma la sua scelta del licenziamento – ci dice Vittorio Venezia, segretario generale della Filctem di Reggio Emilia – hanno scelto questa strada sulla base di un chiacchiericcio, un sentito dire, un si dice che visto che il dipendente, prima di essere licenziato aveva già consegnato tutta la certificazione medica che testimonia del suo stato di salute sano. Niente contagio, nessun rapporto con il coronavirus. Ma questo evidentemente non è bastato”. Tra l’altro, spiega sempre il sindacato il dipendente era stato assunto 13 anni fa attraverso il canale del collocamento mirato essendo invalido al 75%. È padre di due figli. Dopo le “voci” sul suo possibile contagio, lo hanno prima sospeso e poi licenziato. “Se questo è il buongiorno della fase due – dice ancora Vittorio Venezia – allora siamo molto preoccupati perché casi del genere si possono ripetere. L’altro elemento che preoccupa molto in questa vicenda riguarda la motivazione “procurato allarme”. Che cosa intende davvero l’azienda con questa espressione?. Resta il fatto che per noi il licenziamento è totalmente illegittimo”.

Messo al corrente della situazione, il 4 maggio scorso, il lavoratore aveva comunicato prontamente all’azienda di non avere avuto il coronavirus, altrimenti lo avrebbe detto e ha consegnato un certificato medico che attestava il suo stato di salute. Infine, chiarito tutto, ha chiesto di poter riprendere il lavoro. A quel punto “nonostante il chiarimento reso in via ufficiale sulla inconsistenza della contestazione, l’azienda gli ha consegnato una lettera di licenziamento”, intimandogli di non presentarsi più sul posto di lavoro fino a quando “non potrà dimostrare di non avere contratto il covid-19”. Il sindacato ribadisce quindi che  “prima di avviare gli opportuni percorsi legali in difesa non solo del lavoratore interessato ma del futuro e della dignità’ di tutti gli altri dipendenti, auspica un saggio ripensamento che porti l’azienda a rivedere la sua posizione a partire dal ritiro del licenziamento”.

Nel frattempo è stato indetto uno sciopero di tre ore, i cui primi 90 minuti si svolgeranno nella giornata di domani, venerdi 22 maggio’. Quello della Bibo non è neppure il primo caso segnalato dalla Cgil di “licenziamenti pretestuosi” nel contesto dell’emergenza sanitaria. La Pregel, qualche settimana fa, aveva licenziato un delegato sindacale contestandogli, tra l’altro, di aver starnutito senza mascherina e non coprendosi la bocca con le mani. In quel caso il lavoratore, a seguito delle mobilitazioni e degli appelli politici che si sono succedute, è stato riassunto, anche se assegnato ad altre mansioni.